Maggioranza salvata 5.098 volte dalle assenze in Parlamento

by Sergio Segio | 3 Ottobre 2011 6:37

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ROMA – Facile farsi eleggere in Parlamento, difficile andarci tutte le mattine. Se piove e se c’è il sole, se è estate o inverno, se si è felici e anche depressi. Dopo l’elezione c’è il periodo di buio, una cornice down che annienta le forze soprattutto in chi dal voto è stato sconfitto e produce la meraviglia di una maggioranza che governa “grazie” all’opposizione, poggia la propria fiducia sulla stanchezza e in fin dei conti sulla sfiducia altrui. Per 5.098 volte la maggioranza ha salvato i suoi commi e i suoi articoli in ragione delle defezioni dei propri competitori. Il 35 per cento del totale dei provvedimenti approvati in questa legislatura scaturisce da questa funzione al contrario. Dal 2008 una legge su tre è giunta sulla Gazzetta Ufficiale grazie alle assenze di chi (a parole) si era impegnato ad opporsi alla sua promulgazione.
Le statistiche sono guidate unicamente dai numeri e questi numeri, che Openpolis, l’associazione che monitora i comportamenti funzionali e puramente meccanici della classe politica, confermano e in qualche modo aiutano a spiegare il dato assoluto: l’opposizione troppo spesso, più del prevedibile verrebbe da dire, ha salvato il governo con le proprie assenze. Certo, sviluppati sul versante opposto, gli stessi numeri porterebbero a dire che la maggioranza, fortissima, è risultata fragilissima nel voto parlamentare. Ma questa debolezza, qui il punto, non ha determinato le conseguenze attese. E c’è un perché che i ricercatori (su www. openpolis. it ogni ulteriore ragguaglio statistico) ritrovano nel fatto che l’attività  parlamentare «si riduce ad essere una sorta di incombenza ben remunerata, da gestire come si può tra le altre». La crisi della politica risiede appunto nella scarsa passione che i suoi protagonisti al più alto livello manifestano. Impegno che viene sottovalutato o assommato ad altri. Pesa e tanto l’abitudine, oramai consolidata a dispetto di ogni proclama e dichiarazione, ai doppi e tripli incarichi che segnano il cursus honorum di una parte cospicua degli eletti. Sono ventidue i parlamentari che fanno anche i ministri (sottraendo così ogni presenza alle sedute d’aula), e trentuno che sono sottosegretari, e due che vestono anche la fascia tricolore di sindaci e dodici che si sono assicurati anche la poltrona di presidente di Provincia, undici quella di consigliere provinciale e quattro che sono anche assessori comunali. La doppia poltrona fino a qualche anno fa era vietatissima, almeno nelle fila del centrosinistra. Il tempo passa e le buone tradizioni si dimenticano. Con gli anni la deregulation e la fuga in massa dalle proprie responsabilità .
Chi fa il parlamentare dovrebbe fare il parlamentare. Invece no. Più spesso fa i propri affari in solitudine. Sono in 134 a svolgere con regolarità  la professione di avvocato (e già  questi numeri producono sconforto e in parte spiegano l’indole ai continui microassalti ai codici). Altri 116 parlamentari erano imprenditori e continuano ad esserlo. A Roma si va quando si può, se la fabbrica lo permette.
I danni sono cospicui. E se il segretario del Pd Pierluigi Bersani volesse scorrere la lista dei colleghi che hanno mancato al proprio dovere non ritroverebbe – per giusta causa – solo il proprio nome in cima, ma quello di chi altro non avrebbe da fare, in teoria, che presenziare al voto. Nomi di prima fascia (D’Alema, Fioroni, Franceschini, Livia Turco, Veltroni), raccolti intorno a una lunga lista di peones che hanno pochi impegni e però incredibilmente hanno performances mediocri. Senza questa stanchezza così acuta la Finanziaria del 2009, approvata con 99 voti di scarto, sarebbe stata bocciata sotto i colpi dei 100 deputati dell’opposizione invece assenti. E la legge che consegnò l’Alitalia alla cordata dei “patrioti” ce la fece per 23 voti di scarto (ventiquattro gli assenti). Non brilla neanche il partito di Di Pietro e persino i radicali (spicca purtroppo l’andamento lento di Emma Bonino) hanno qualcosa da farsi perdonare. Brunetta deve ringraziare il centrosinistra se la sua riforma è potuta divenire legge. E chi aveva soldi all’estero li ha scudati perché qualcuno di troppo nell’opposizione ha girato i tacchi e fischiettando è salito in auto ed è corso via da Roma.

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