Maggioranza in bilico, salva per un voto

by Sergio Segio | 20 Ottobre 2011 6:54

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ROMA — Il filo è sottilissimo e può spezzarsi da un momento all’altro. Alla Camera, nonostante i ministri «inchiodati» agli scranni, la maggioranza si è salvata per un voto sulla modifica dell’articolo 41 della Costituzione, che regola la libertà  d’impresa. Un emendamento dell’udc Pierluigi Mantini è stato respinto per 288 voti a 287 in un clima da stadio, che ha visto uno scambio di insulti e gestacci tra Lega e opposizione. «Gli faremo ballare la samba ogni minuto» spera nel colpaccio Roberto Giachetti, segretario d’aula del Pd.
In Transatlantico è allarme rosso. Berlusconi ha dato ordine di «traslocare» fisicamente il governo a Montecitorio. E quando Gianfranco Fini ha chiesto ad Antonio Leone di presenziare al Quirinale per la consegna delle onorificenze ai Cavalieri del lavoro, il vicepresidente del Pdl ha pregato l’inquilino di Montecitorio di esonerarlo «per non togliere un voto alla maggioranza». Così Fini ha spedito in missione al Colle anche l’udc Renzo Lusetti, segretario di presidenza.
I ministri c’erano tutti, ma quando la maggioranza ha schivato lo scivolone alcuni esponenti del governo si erano assentati. Nel centrosinistra, impegnato in un ostruzionismo senza sconti, è scattata la caccia agli assenti. Chi era in missione e chi invece fumava in cortile? Con Bersani e D’Alema, a Madrid per la conferenza dei progressisti, le opposizioni avrebbero assestato un colpo al governo e meglio ancora sarebbe andata per Pd, Idv e Terzo polo se il sistema elettronico avesse funzionato correttamente. O almeno, questo hanno denunciato Emilio Quartiani e Livia Turco, risultati assenti pur essendo in Aula. Il vicepresidente di turno, Maurizio Lupi, ha detto che il sistema sarà  verificato, ma per lui «tutto ha funzionato» a dovere.
A scaldare gli animi è il democratico Furio Colombo: «Vedervi qui a far niente per approvare una cosa che sembra scritta da Bossi non ha significato». Il leghista Marco Reguzzoni scatena la reazione dei dipietristi e così Rocco Buttiglione dal banco della presidenza richiama all’ordine: «Vi prego di non usare parole non appropriate». E Pier Ferdinando Casini chiede al Pdl un’assunzione di responsabilità : «Fermatevi davanti a questa inconsulta marcia verso il nulla».
Al Senato la prova di forza per la maggioranza è solo rimandata ai primi di novembre, quando all’ordine del giorno dell’Aula potrebbe essere inserito d’imperio il ddl sulla prescrizione breve, che tanto interessa gli avvocati del presidente del Consiglio imputato per corruzione di testimone al processo Mills. Ieri il testo ha subito lo stop tattico annunciato e, dopo giorni di ostruzionismo in commissione Giustizia, è finito temporaneamente in un cassetto per ordine del presidente Filippo Berselli (Pdl). Il ddl Gasparri sulla prescrizione breve per gli incensurati è dunque «in sonno» ma è comunque pronto per essere calendarizzato in Aula senza mandato al relatore. Il governo, che sorveglia da vicino questo testo ormai prossimo al traguardo definitivo, confida che la partita si possa chiudere — con o senza fiducia — entro una o due settimane. Perché, conferma il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il ddl sulla prescrizione breve «può essere discusso e votato in Aula anche durante la sessione di bilancio» che inizia oggi. Questa tesi viene contestata da Felice Casson (Pd) e da Luigi Li Gotti (Idv) perché, a parer loro, «il ddl comporta oneri di spesa». La Lega, insistono infine Silvia Della Monica (Pd) e Francesco Rutelli (Api), «abbandoni questo sciagurato progetto di legge». Ma a Palazzo Madama, con la sentenza di primo grado del processo Mills prevista a breve, tutti sanno che questa è una mera illusione.

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