Ma la «missione» Nato continuerà 

by Sergio Segio | 9 Ottobre 2011 6:56

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 Prima di proclamare «la liberazione della Libia», gli insorti del Consiglio nazionale di transizione e i loro sponsor internazionali dovranno aspettare ancora un po’. Qualche giorno di pazienza, poi quando anche Sirte sarà  stata «liberata» si potrà  procedere a celebrare la vittoria definitiva sulle forze di Gheddafi perché, come ha detto ieri a Tripoli il «presidente» del Cnt Mustafa Abdel Jalil, ammesso (al pari dell’italiano La Russa) alla conferenza stampa del ministro della difesa britannico Liam Fox, anche se qualche sacca di resistenza ancora persisterà  – la più forte è sempre a Bani Walid, 130 km a sud della capitale -, con la conquista di Sirte gli insorti avrebbero il controllo di tutti gli accessi marittimi del paese.

Attenzione però. Perché se, come ha detto ieri il «ministro della difesa» del Cnt, Jalal al Digheili, la fine della guerra «è vicina», anche dopo la «liberazione» di Sirte la «missione» Nato non potrà  dirsi ancora conclusa. E il sostegno, «nell’ambito della risoluzione Onu per proteggere i civili» – l’ha riconfermato il ministro Fox, che sbava per poter rimettere piede nella vecchia base inglese di Wheelus Bay, alle porte di Tripoli -, «continuerà » finché il regime del deposto Gheddafi «non rappresenterà  più una minaccia per il popolo libico» (ossia potenzialmente a tempo indeterminato).
Per Gheddafi e i gheddafiani, come giusto e inevitabile, Fox ha decretato il «game over», ma l’amorevole protezione Nato sulla «nuova Libia» (il suo petrolio e le sue riserve d’acqua, una risorsa che presto diverrà  più preziosa del greggio) la partita continua.
Al fianco di Fox, ieri a Tripoli gonfiava il petto anche il vecchio balilla La Russa, fiero di avere rimesso piede, giusto nel centenario del primo attacco coloniale dell’Italia giolittiana, a Tripoli bel suo d’amore, con vista sul balcone da cui si affacciavano i fascistissimi maresciallo Graziani e Italo Balbo. Giusta fierezza, anche se quell’ingrato di Obama indicando qualche giorno fa la campagna Nato di Libia come «il modello» per le prossime liberazioni da effettuare contro i cattivi, ha citato fra i liberatori persino Norvegia e Danimarca dimenticandosi dell’Italia. Errore.
Secondo i dati diffusi ieri da Analisidifesa, portale di politica e analisi militare, in questi mesi di guerra l’apporto degli aerei italiani è stato «determinante»: «2100 sortite» e «oltre 800 tra bombe e missili sganciati» dai caccia italiani che «hanno individuato più di 1500 obiettivi distruggendone oltre 500», per cui, tutto considerato, addirittura «l’80% delle missioni aeree alleate sulla Libia è stato lanciato da basi o navi italiane», un contributo che «vale quasi il 10% dello sforzo militare alleato» (oltre a un costo in sole armi impiegate «di circa 60 milioni di euro», ma per le guerre, perdon, per le «missioni di pace» italiane i soldi ci sono sempre).
Il dopo-guerra sarà  lungo (e complicato), per la guerra ancora un po’ di pazienza. A Sirte «l’offensiva finale» cominciata venerdì degli insorti (con partecipazione Nato) procede a rilento per via della «feroce» resistenza (parole di Abdel Jalil) opposta all’avanzata verso il centro della città  dai lealisti gheddafiani e dagli immancabili «mercenari» nero-africani (in questo caso indicati come «mauritani) che sarebbero asseragliati nell’area dell’università  e nel centro di convenzioni Ouagadougou, dove Gheddafi – che aveva fatto della natia Sirte la «seconda capitale» – era solito ricevere leader e dignitari stranieri (anche Berlusconi ci è passato, nel marzo 2009, fra abbracci e salamelecchi vari alla «Guida»). L’inviato della Bbc scrive che le forze pro-Gheddafi oppongono «una straorinaria resistenza in difesa di quella che sembra una causa persa». Sembra ed è.
Fra i due fuochi decine di migliaia di civili intrappolati, senza acqua, cibo, elettricità , medicine; e migliaia che sono riusciti a fuggire da quell’inferno. Civili che secondo il «ministro dell’informazione» del Cnt, Mahmoud Shamman, sono tenuti «in ostaggio» dai gheddafiani ma che in ogni caso finiscono sotto il fuoco dei mortai e dei razzi che, scrive al-Jazeera, stanno piovendo sulla città  sparati «dalle centinaia di veicoli adibiti a lanciarazzi».
Una situazione che rende patetico il rituale e tardivo appello lanciato dall’inviato speciale dell’Onu, Ian Martin, agli insorti e ai gheddafiani di «rispettare i diritti umani». Come sempre, diritti umani a geometria variabile.

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