L’onda islamica conquista Tunisi

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TUNISI — Il primo messaggio è in linea con la campagna elettorale. Moderato, rassicurante: «Faremo tutti gli sforzi per dare stabilità  al Paese». Ennahda, il partito di ispirazione islamica, ha vinto le prime elezioni democratiche nella storia della Tunisia. Il successo è largo, come previsto. Ma la forza politica guidata da Rachid Ghannouchi non diventa il padrone assoluto del Paese: almeno stando ai numeri ricostruiti mettendo insieme proiezioni elaborate da diverse fonti, visto che i risultati ufficiali saranno comunicati solo oggi pomeriggio dall’Isie, l’Istanza superiore che garantisce la regolarità  delle consultazioni. Ennahda, dunque, dovrebbe raggiungere il 35% (con possibile estensione fino al 37-38%). Il secondo partito, il Cpr (Congresso per la Repubblica), di orientamento socialdemocratico, sotto la leadership di Moncef Marzouki, non raccoglierebbe neanche la metà  dei voti: intorno al 15%. Seguono a breve distanza, Ettakatol, sempre della famiglia del centrosinistra, con il 12%. Sotto questa soglia si entra in un pulviscolo di formazioni (ce n’erano 110 in corsa e circa 1.500 liste) da cui dovrebbero affiorare altri due schieramenti laici: gli indipendenti di Destourna (rete di liste indipendenti) con il 10% e il Polo democratico per la modernità  (8%).
Ieri c’è stato qualche segnale di possibile contestazione dei risultati: un centinaio di persone si sono presentate davanti alla sede dell’Isie. Anche se gli osservatori internazionali, finora, non hanno denunciato brogli. Secondo Gabriele Albertini e Antonio Panzeri (presidente e vice della delegazione dei parlamentari europei) le operazioni di voto si sono svolte in modo trasparente. Si vedrà  oggi se verranno presentati ricorsi e di quale portata. È un’incognita da non sottovalutare e che potrebbe riportare soprattutto i giovani nelle piazze.
Ma la risposta delle urne, al netto degli aggiustamenti sulle singole percentuali, è di una chiarezza perfino sorprendente. Sulla carta ci sarebbero anche i numeri per assemblare un blocco laico in grado di bilanciare (se non superare) Ennahda nella ripartizione dei 217 seggi dell’Assemblea costituente e quindi nella formazione del nuovo governo e nella designazione del presidente della Repubblica, cioè delle istituzioni che avranno un anno di tempo per rifondare lo Stato e riconsegnarlo ai cittadini per nuove elezioni politiche. Ma non è questa l’aria che tira nel Paese. Gli islamici hanno stracciato tutti nelle grandi città  come nei villaggi. A Nord e a Sud. Si possono tagliare fuori? I laici sopravvissuti alla valanga non lo ritengono possibile e neanche consigliabile. Marzouki (Cpr) è il più esplicito (intervista trasmessa da SkyTg24): «Dopo aver riconquistato la libertà  non possiamo cominciare la guerra civile tra religiosi e secolaristi».
Come è naturale, il vertice di Ennahda si candida a occupare il ruolo centrale che spetta al punto di riferimento di circa 2 milioni e mezzo di tunisini (ha votato l’80% dei 7,5 milioni aventi diritto). Davanti a due-trecento militanti (la grande festa è prevista per oggi) Abedalhamide Jellassi (uno dei dirigenti di punta) ha preso la parola per mettere in chiaro, a scanso di equivoci, un paio di concetti. Il primo: «Siamo il primo partito in tutte le circoscrizioni, abbiamo ottenuto il 20, il 25, il 30%». Secondo: «Nell’assemblea costituente non ci sarà  frammentazione, al massimo 5-6 partiti. Noi vogliamo costruire un clima di collaborazione e alcune forze politiche hanno già  riconosciuto la nostra vittoria». Ennahda, dunque, ora vuole governare. Ma non da sola. La trama delle possibili alleanze, con annessa distribuzione delle poltrone, è già  cominciata.


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