«Non li chiuderemo» Ma è lo scontro in Veneto a preoccupare Bossi
MILANO — «Non chiuderemo». Roberto Calderoli è un po’ il padre dei ministeri monzesi e lo dice chiaro: il pronunciamento del tribunale di Roma non cambia le cose. Perché secondo il ministro alla Semplificazione, il suddetto ufficio «non ha il potere di annullare i decreti, non gli spetta». Al massimo, secondo il ministro della Semplificazione, ad essere annullati sono «gli effetti dal punto di vista dei problemi sindacali. Ora, comunque ci consulteremo con la presidenza del Consiglio».
Da un certo punto di vista, se gli effetti annullati sono soltanto quelli sindacali, al momento non è poi gran questione. Umberto Bossi lo spiega così: «Il problema sono i lavoratori ma non abbiamo spostato nessun lavoratore da Roma, quindi la sentenza non ci riguarda». Nei quattro ministeri che hanno trovato spazio nella Villa Reale di Monza, al momento lavora una persona soltanto: il portavoce di Calderoli, Fabrizio Carcano. Il ministro, secondo coloro che lavorano nelle varie strutture della villa arciducale voluta da Maria Teresa d’Austria, si vede tutti i lunedì per qualche ora. Quanto agli altri esponenti del governo che dispongono di scrivania a Monza, consumeranno poco gli arredi. A partire da Umberto Bossi. Persino il leader padano si è visto soltanto all’inaugurazione, e poi il primo lunedì di settembre assieme a Giulio Tremonti. Michela Vittoria Brambilla, invece, ha messo piede a Monza soltanto il giorno del battesimo della sede distaccata. Tra l’altro, il ministero del Turismo, non si capisce bene il perché, non dispone neppure della relativa targa. Quelle esistenti — Economia, Semplificazione e Riforme istituzionali — sono peraltro sistemate all’interno dei locali: troppo alto il rischio di furti lasciandole esposte alla notte brianzola.
Va detto che la Lega, alla notizia proveniente da Roma, non si è sollevata come un sol uomo. Ha tuonato il segretario dei Giovani padani Paolo Grimoldi: «Sarebbe il caso di valutare la chiusura del tribunale di Roma, più che dei ministeri di Monza. Questa è una sentenza politica, non possiamo fare finta di niente». Promette Grimoldi: «Sarà nostro dovere esaminare tutti gli atti di questo efficiente tribunale di Roma e vedere quali altre chicche ci ha regalato in passato». Inoltre, è da registrare la soave presa di posizione di Mario Borghezio: «Sentenza di m…. Alemanno la appenda nel cesso. Roma è la capitale del fancazzo». Tolto qualche esponente locale, le reazioni sono queste.
Fossero questi i problemi… In realtà , la testa del Carroccio è tutta da un’altra parte, a occupare cuori e menti è il fumante fronte interno. Ieri, in particolare la sortita di Umberto Bossi («Tosi è uno str…») ha gettato il Veneto in fibrillazione totale. Ieri sera il leader leghista ha voluto alleggerire la tensione: ha detto di non avere intenzione di espellere Tosi. «L’ho invitato lunedì». Con ogni probabilità gli chiederà di rinunciare a presentare una sua lista civica alle amministrative della prossima primavera. Difficile, comunque, che Tosi si auto-imponga il bavaglio: proprio questa sera, nonostante si trovi negli Stati Uniti, dovrebbe intervenire a «Porta a porta» con Alemanno e Renzi. Va detto che a Verona l’intera militanza giovanile sogna già la corsa solitaria ed è pronta alle barricate a favore del sindaco e contro «quelli del ventilatore» (così molti uomini del Leone chiamano il Sole delle Alpi). Cosa diversa è l’establishment del partito, a partire dal segretario nazionale Gian Paolo Gobbo. Che lunedì dovrebbe essere a sua volta in via Bellerio a colloquio con il «Capo»: chiederà lumi sull’argomento Tosi, come pure il via libera a quello che alcuni considerano un commissariamento di fatto. E cioè, il pretendere che le delibere delle segreterie provinciali, prima di diventare operative, debbano avere l’avallo di quella «nazionale» veneta.
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