by Sergio Segio | 28 Ottobre 2011 7:27
ROMA — «Misure da incubo», cui rispondere «con la forza necessaria», dice la Cgil. «Una provocazione mentre il Paese ha bisogno di coesione», fa eco il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, e anche la segreteria della Uil ha deliberato la possibilità di una protesta forte. Dieci anni dopo, ancora una battaglia in difesa dell’articolo 18. C’è una sintonia di obiettivi, costringere il governo ad inviare d’urgenza una smentita all’Ue sull’annuncio di nuove misure sui licenziamenti, e anche a Cisl, Uil e Ugl, solitamente dialoganti con l’esecutivo, è tornata l’idea dello sciopero generale. Ma un’azione unitaria del sindacato al momento è ancora solo una possibilità .
Con la tesi che «flessibilità » significhi contratti di lavoro più agevoli, e che quindi più libertà di licenziamento dovrebbe portare «maggiore propensione ad assumere» il governo torna alla carica dello Statuto dei lavoratori, come nel 2002. E come allora ritiene che la stabilità lavorativa possa essere risarcita con un indennizzo economico: una formula quella della lettera di intenti inviata dal premier Silvio Berlusconi al presidente stabile dell’Ue Herman Van Rompuy e a quello della Commissione Josè Manuel Barroso, che tutti i sindacati duramente contrastano, ma non è detto che questo ricompatti il fronte.
Prima ancora che — come auspicato dalla leader della Cgil, Susanna Camusso — si potesse «ragionare» insieme su una reazione unitaria, in una nota congiunta, Cisl, Uil e Ugl hanno implicitamente confermato la distanza dalla Cgil, dicendosi pronti «a ricorrere a scioperi», «qualora il governo intendesse intervenire sulle materie del lavoro senza il consenso delle parti sociali». Uno sciopero, ma senza la Cgil? Ha chiarito in seguito Bonanni: «È chiaro che agiremo tutti insieme» se «ci sarà la stessa opinione», «altrimenti marceremo divisi ma colpiremo uniti». «Se il governo — ribadisce il leader della Uil, Luigi Angeletti — ci dovesse spingere a prendere in considerazione uno sciopero, non ci saranno problemi a farlo insieme». Per la Cgil sarebbe la seconda volta in tre mesi, dopo il 6 settembre, contro la manovra di Ferragosto e l’articolo 8. Ora che — come dice l’ex segretario Cgil Sergio Cofferati — si passa «dalla deroga dell’articolo 18 alla sua completa cancellazione» è «auspicabile che la politica e i sindacati contrastino questa scelta». Le opposizioni sono concordi nei toni e nella condanna. Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, parla di «patto scellerato» tra Berlusconi e Bossi «che in cambio della libertà di licenziamento non mette mano alle pensioni» e che «rischia di provocare uno scontro sociale, di mettere i ricchi contro i poveri». «A parte le minacce inaccettabili di entrare a piè pari sul mercato del lavoro, tutto il resto è merce usata», dice il segretario Pd Pier Luigi Bersani. Già oggi i sindacati sono in piazza. La Uil con lo sciopero nazionale del pubblico impiego e la Cgil, con lo Spi, il sindacato dei pensionati.
Il governo assicura che il percorso di modifica della regolazione dei licenziamenti non sarà a senso unico: presto partirà il tavolo con le parti sociali, alle quali chiede di mettere da parte «pregiudizi» e di avere un «atteggiamento responsabile». «Ci sarà dialogo sociale», affermano all’unisono i ministri del Welfare, Maurizio Sacconi, e dell’Innovazione, Renato Brunetta: l’obiettivo «è spingere le aziende ad assumere, non a licenziare». Va dritto al punto Brunetta: «Meglio che le aziende ristrutturino o chiudano?». «Licenziamenti facili è un titolo che serve solo a spaventare una società già insicura ma che non rappresenta le misure suggerite dall’Europa ed accolte dall’Italia», difende la scelta Sacconi.
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