«L’odio seminato provocherà  ancora scontri e tante vittime»

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 L’uccisione di Muammar Gheddafi è già  un «giallo». «Grazie alla nostra offensiva», rassicura un portavoce del Cnt, e un altro precisa «era ferito alle gambe, non sparate ha gridato, è stato portato a Misurata e nel trasporto è morto», «Ferito alle gambe e colpo mortale alla testa» cambia versione un altro comandante degli insorti, «No, l’ho visto su un cellulare, era vivo al momento della cattura» testimonia Tony Birtley inviato di Al Jazeera. Poi la conferma della versione più credibile: sono stati i cacciabombardieri o gli elicotteri Nato che hanno colpito a più riprese il convoglio di decine di macchine che, con quella di Gheddafi, provava a forzare il blocco prima verso Bengasi poi verso Misurata. Un convoglio che ha continuato a combattere fino alla fine. Sulla morte del raìs abbiamo rivolto alcune domande allo storico del colonialismo Angelo Del Boca, biografo di Gheddafi.

Quale idea ti sei fatto degli avvenimenti che hanno portato alla morte di Gheddafi?
Nella confusione totale un dato è certo: Gheddafi, uomo che veniva dal deserto e che per 42 anni ha retto un paese tribale come la Libia, è morto ed è morto ucciso. Ancora non sappiamo bene se a stroncare la sua vita sono stati gli insorti in combattimento oppure, com’è più credibile, uno degli undicimila attacchi aerei della Nato che hanno fatto la differenza. Noi propendiamo per questa più veritiera versione, perché il modo di combattere degli insorti è sempre stato molto impreciso, casuale e a volte addirittura ridicolo. E senza i raid della Nato gli insorti non avrebbero prevalso. Se sono stati gli aerei o gli elicotteri dell’Alleanza atlantica a conquistare questa vittoria che dovrebbe mettere fine ad una guerra che doveva durare «poche settimane» ed è invece durata otto mesi, dobbiamo dire che la Nato ha fatto una brutta figura. Sperperando il denaro del contribuente occidentale che dovrebbe essere prezioso dentro il baratro della crisi finanziaria. Quando si faranno i calcoli precisi si scoprirà  che sono state gettate sulla Libia, «per proteggere i civili», dalle 40 alle 50.000 bombe ovviamente intelligenti, che oltre a stragi silenziose hanno provocato la devastazione del territorio anche per il futuro.
C’è un giornalista libico, Mahmoud al-Farjani che ha raccolto la testimonianza dei miliziani del Cnt che avrebbero trovato il corpo, e che dicono che «ha combattuto fino alla fine, aveva segni di ferite alle gambe e al busto»…
L’ho detto fin dal primo giorno di guerra. Gheddafi non era l’uomo che poteva prediligere la fuga né un compromesso. Poteva soltanto morire con un’arma in mano. Da questo punto di vista, ha fatto la morte che voleva. E le modalità  della sua uccisione rischiano anche di trasformarlo in un mito, anche perché non ci sono molti altri esempi in giro.
L’uccisione in combattimento di Gheddafi facilita la pacificazione della Libia?
Assolutamente no. Perché la Libia è distrutta, è un paese tutto da ricostruire, con gli arsenali di armi abbandonati e rivenduti al miglior offerente. Parlare di normalizzazione della Libia è a dir poco un termine impreciso. E tutto quello che era stato fatto per bloccare la deriva dell’integralismo islamico è andato in fumo. Mi sembra che se ne sia accorta perfino la signora Clinton perché ora vuole inviare soldati per cercare tutte queste armi sparite. Altro che pacificazione, sono troppi gli odi e le vendette che sono state accese. È stata una vera guerra civile, perché non erano poche migliaia di persone quelle schierate con Gheddafi ma centinaia di migliaia. E non è ancora finita, l’odio seminato dalla presenza neocolonialista dell’Occidente provocherà  ancora scontri e vittime. Proprio nel ricordo del giovane ufficiale che nel ’69 fece una rivoluzione senza spare sangue.
Ora vediamo gli spari di gioia degli insorti e il titolo televisivo è che tutti i libici festeggiano…
Chi festeggia davvero, visto che la violenza repressiva di Gheddafi per gran parte si è riversata nel tempo contro rivolte interne spesso collegate a interessi occidentali ma soprattutto, e per conto dell’Occidente, contro gli integralisti islamici (vedi il massacro di Abu Salim del 1996). Mentre restano incerti, a partire da Lockerbie, le stragi terroristiche che alla fine la leadership di Gheddafi si era accollate proprio quando emergevano ben altre responsabilità . Per Lockerbie, per esempio e lo sanno tutti, quelle dell’Iran per ritorsione all’abbattimento di un aereo civile iraniano ad opera della Marina militare Usa.
I leader occidentali tirano un sospiro di sollievo…
Nel centenario dell’occupazione coloniale della Libia, La Russa e Frattini – ricordiamoci che il nostro ministro degli esteri indicava in Gheddafi «l’esempio da seguire per tutta l’Africa» – sono entusiasti, doppia esultanza per Sarkozy che nello stesso giorno diventa padre ed eroe, e per Hillary Clinton che forse più di Obama si è spesa per questa guerra. Alla fine Ronald Reagan, che più volte provò ad assassinare il Colonnello libico, ha avuto ragione…

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OTTO MESI DI BOMBE E GUERRA CIVILE

 Il 15 febbraio, una manifestazione contro il regime a Bengasi e al Baida (nella parte est della Libia), viene repressa. La rivolta si estende, sostenuta dalla «comunità  internazionale». Il governo denuncia la presenza di agenti stranieri. Decine di esponenti politici e militari di Gheddafi passano con i ribelli. Il 10 marzo, la Francia è il primo paese a riconoscere il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), creato a fine febbraio dall’opposizione a Bengasi. Il 17, l’Onu autorizza un ricorso alle armi contro le forze fedeli al Colonnello «per proteggere i civili». Tra il 18 e il 19 le truppe governative cercano di riprendere Bengasi. La coalizione bombarda i lealisti che si ritirano a ovest. Il 31, la Nato prende il comando delle operazioni. Il 20 aprile, dopo Londra, anche Parigi e Roma inviano consiglieri militari presso il Cnt, seguiti da Egitto e Usa. L’11 maggio, dopo due mesi di bombardamenti e un terribile assedio, i ribelli prendono l’aeroporto di Misurata. Il 29 giugno la Francia riconosce di aver paracadutato armi da fuoco ai ribelli nelle montagne di Nefousa (a sud-est di Tripoli). Il 15 luglio, il Gruppo di contatto, guida politica dell’intervento, riconosce il Cnt: «autorità  governativa legittima». Il 9 agosto, mentre alcuni paesi africani e dell’America latina denunciano l’aggressione alla Libia, Gheddafi accusa la Nato di aver ucciso 85 civili in raid nell’ovest. Il 1 settembre Onu e potenze sbloccano 15 miliardi di dollari di beni libici congelati. Il 15, Sarkozy e Cameron in Libia. Il 16, l’Onu riconosce il Cnt. Il 20, il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, afferma che vi sono 25.000 morti. I ribelli mettono per un mese sotto assedio e insieme alla Nato bombardano Sirte:il 20 ottobre è «quasi liberata» e Gheddafi ucciso.


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