«La protesta cresce I maghi di Wall Street cercano di zittirla»

by Sergio Segio | 3 Ottobre 2011 6:01

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Oggi il vero potere è nelle mani di Wall Street perché essa sovvenziona la politica e condiziona così non solo il Congresso ma anche il governo, sottraendosi al loro controllo. E’ un sistema che va cambiato, ma per farlo bisogna che lo sdegno popolare esploda e che i media gli diano rilievo, cose che sinora non si sono verificate, a differenza che in Gran Bretagna, in Spagna, nei Paesi della primavera araba».

Gli arresti a New York e a Boston hanno sorpreso Gay Talese, 79 anni, l’autore di «Onora il padre», «Il potere e la gloria» e di numerosi libri sulla mafia: «Potrebbero costituire una svolta, sono stati i primi scontri tra i dimostranti e la polizia, segno che la protesta cresce, e a ragione, perché le condizioni di troppe famiglie sono insostenibili». Ma lo scrittore dubita che la protesta si diffonda in fretta nel Paese: «Al momento è disorganizzata, non fa ancora presa sui ceti medio-bassi. Soprattutto, è quasi ignorata da radio, tv e giornali. Avrà  qualche successo se ci sarà  un’altra recessione, come negli anni 30».

Non è troppo scettico?
«Sono realista. Il movimento pacifista prevalse nella guerra del Vietnam perché il servizio militare era obbligatorio, e l’America vi aderì per proteggere la vita dei suoi figli. In maggioranza, i media l’appoggiarono senza remore. Ma oggi l’America è divisa perché una parte è al servizio di Wall Street mentre un’altra ne è vittima. E tra i clienti della finanza vi è la maggioranza dei media, per via della pubblicità , della proprietà , delle alleanze».

Non si salva nessuno?
«Ho passato mezzo secolo a New York, la metà  nei giornali. Un tempo non era così, ma adesso i media sono veloci nell’evidenziare le ribellioni all’estero, ma lenti a illustrare quelle in casa. Eppure, i giovani di “Occupare Wall Street” meritano attenzione. La finanza che ha causato il disastro del 2007-2008 è più forte di prima, e i colpevoli non sono stati puniti, con l’eccezione di pochi personaggi secondari».

Wall Street è responsabile delle attuali tensioni sociali?
«Certamente. Se la finanza, salvata a carico dei contribuenti, fosse stata penalizzata e regolamentata, avrebbe cambiato condotta. Hanno molte responsabilità  anche i governi, che non l’hanno riformata e che non hanno saputo creare nuovi posti di lavoro. I danneggiati sono soprattutto i giovani, una generazione che temo perduta. Io crebbi durante la Grande Depressione, a mio parere rischiamo di fare il bis».

Il silenzio dei media non rispecchia l’indifferenza del popolo americano?
«In qualche misura sì. La protesta in Europa è stata ed è più rapida e forte, anche perché i vostri sindacati sono più combattivi e i vostri partiti più numerosi e meno passivi. Per muoverci noi americani abbiamo bisogno di un nemico simbolico, uno alla Gheddafi, e a Wall Street non lo abbiamo individuato. Ma nemmeno Martin Luther King sarebbe riuscito a lanciare il Movimento dei diritti civili se i media l’avessero ignorato».

Perché è così duro con il mondo della finanza?
«Ci sono molti finanzieri e banchieri onesti. Ma ce ne sono anche molti per cui conta solo il profitto a tutti i costi. Una specie di mafia che si arricchisce a danno di chi lavora. Mi hanno colpito le immagini dei big di Wall Street che festeggiano mentre i dimostranti sfilano in strada, le due facce della nostra realtà  economica».

New York non è stata spesso così?
«New York è una città  cinica, che vive della ricchezza di Wall Street. I nostri ristoranti, cinema, teatri, negozi traboccano di gente, è come se la crisi non ci fosse. Qui vengono i ricchi di tutto il mondo a spendere. Non sarebbe nel suo interesse imbrigliare la finanza. Ma New York è anche una città  liberal, e potrebbe ribellarsi».

La protesta è pro o contro Obama?
«Sarà  pro Obama se spingerà  il presidente a intervenire con maggiore decisione sulla finanza. Al momento è contro, i dimostranti lo accusano di essere troppo debole. Purtroppo anche nel suo governo ci sono ex leader di Wall Street. E’ il guaio della nostra democrazia. Noi diciamo che tra Wall Street e Washington c’è una porta girevole».

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