Licenziamenti, tensione sul piano Sacconi

by Sergio Segio | 30 Ottobre 2011 7:07

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ROMA — Si sta ripetendo la stessa situazione di 10 anni fa, quando il governo propose un disegno di legge che prevedeva la sospensione delle tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e l’attuale ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi (allora sottosegretario), a spiegare come provare a spingere l’occupazione attraverso una minore rigidità  contrattuale e normativa sul lavoro. Ora i sindacati sono sul piede di guerra a ribadire, all’unanimità , che «licenziare facilmente e togliere i diritti ai lavoratori non produce certo nuove assunzioni».
È intenzione del governo, infatti, percorrere la strada degli indennizzi per far fronte ai licenziamenti, anche individuali. Il ministro Sacconi, nell’intervista di ieri al Corriere, ha ipotizzato un nuovo «Patto per l’Italia», sulla scorta di quello stretto nel 2002, e che prevedeva la sospensione per tre anni dell’articolo 18. E ha anche annunciato un tavolo con le parti sociali.
Una proposta bocciata in pieno dai sindacati. «È gia fallita dieci anni fa», ricorda al ministro il segretario della Cgil, Susanna Camusso: «Sacconi dovrebbe meditare su come mai non se ne fece più nulla» di quell’accordo, sottoscritto dalle parti esclusa la Cgil. Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, avverte il ministro: «Non discuteremo di licenziamenti né con il governo, né con la Confindustria. Se sarà  questo all’ordine del giorno io non mi presenterò. Non accetto una discussione fuorviante che crea allarmismo inutile. Già  la grande pressione sulle pensioni è costata un aumento a dismisura delle uscite dal lavoro per paura. Soltanto a parlare di licenziamenti si mina la coesione sociale. Quanto vale, chiedo a Sacconi, la coesione sociale?».
Posizioni inconciliabili, con lo scontro radicalizzato dai dati diffusi dalla Cgia di Mestre, che stima nel caso in cui si rendessero più facili i licenziamenti, la disoccupazione all’11,1%, dall’attuale 8,2%. Una simulazione definita «senza fondamento» dal ministero del Lavoro, che ribadisce come la maggiore flessibilità  incentiverebbe le assunzioni. «Certo che salirebbe la disoccupazione — risponde Bonanni — perché va da sé che ci sarebbe il segnale “liberi tutti” per licenziare chi si vuole». Sul punto è intervenuto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che vede «il rischio» di «moltiplicare il tasso di disoccupazione»: «Mi auguro che il governo non sia così irresponsabile da non confrontarsi con le parti sociali e le categorie economiche». Il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, rintuzza gli attacchi: si tratta — spiega — non di favorire i licenziamenti ma di «gli investimenti attraverso una gestione della forza lavoro che sia più simile al resto dell’Europa». Il leader dell’Udc ha concesso un’apertura: «Sì, a condizione — ha detto Pier Ferdinando Casini in un’intervista al Sole 24 Ore — che si crei un paracadute, un ammortizzatore sociale come il salario minimo»
Per la Cgil, «solo parlare di licenziamenti più facili quando siamo al quarto anno di crisi, e gli ammortizzatori sociali sono alla fine, è una specie di istigazione alle imprese a delinquere», per questo il sindacato si presenterà  al tavolo «solo se parleremo di precari: andremo — dice il segretario confederale Fulvio Fammoni — con le nostre proposte». Ma nuove norme sui licenziamenti sarebbero solo «un regalo insperato alla Confindustria, che — aggiunge Fammoni — negli incontri per parlare di sviluppo non aveva mai chiesto tanto e ora che c’è una lettera (quella del governo all’Ue), ma non c’è sviluppo, plaude alla novità ». Anche per la Uil sarebbe un una concessione «gratis» agli industriali: «È normale — dice Guglielmo Loy — che apprezzino: partono da un incasso senza mettere sul piatto niente». Quello di mettere i licenziamenti a disposizione dell’impresa «non ci sembra lo strumento più adatto a far crescere l’occupazione — aggiunge —. E sarebbe schizofrenico. Si era operato proprio per mantenere il rapporto tra lavoratore e imprese attraverso la cassa integrazione».

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