by Sergio Segio | 26 Ottobre 2011 6:18
ROMA — Cade, non cade, cade… niente da fare, non cade nemmeno stavolta. Per tutto il giorno i dirigenti del Pd seguono l’evolversi della situazione nella maggioranza.
Prima Pier Luigi Bersani, poi Enrico Letta compulsano Maroni. Si è sparsa la voce dell’eventualità di un governo Gianni Letta: «Se la maggioranza si ristruttura, il Partito democratico resta all’opposizione. Ma comunque sia noi che loro avremo fatto un passo avanti», dice il segretario. In realtà è un’ipotesi che non gli piace affatto: teme di perdere un avversario comodo come Berlusconi e ha paura di un raffreddamento nei rapporti con l’Udc perché ritiene che i centristi potrebbero avere un atteggiamento più morbido nei confronti di Letta. Ma Maroni spiega ai suoi interlocutori che «la Lega non romperà adesso» e che lui, personalmente, non romperà con Bossi.
Non è un mistero per nessuno nel Pd che Bersani punti alle elezioni e non a un governo di transizione. Per il segretario «rappresenterebbero la vera discontinuità » tanto invocata dal Partito democratico. Certo, il leader del Pd capisce bene che «non si può opporre un rifiuto a un eventuale esecutivo di responsabilità nazionale» nel caso in cui Giorgio Napolitano, di fronte a una crisi, opti per questa strada. Però è convinto che solo dal voto potrà «nascere un governo forte e autorevole» in grado di «fare quello che serve per risollevare il Paese». Anche perché il segretario del Pd dubita fortemente che con il centrodestra si possano veramente portare avanti «le riforme necessarie».
Nel frattempo Bersani nelle sue dichiarazioni preferisce tenersi sul vago circa le intenzioni future del Pd. E parafrasando il Franco Marini segretario del Ppi, che era solito opporre un «mo’ vediamo» a qualsiasi sollecitazione, il leader preferisce dedicarsi anima e corpo alla manifestazione del 5 novembre, liquidando ogni conversazione sui futuri scenari politici con un generico «poi si vede». Del resto, preparare una strategia in queste condizioni di incertezza è oltremodo difficile.
I dirigenti del Pd, comunque, continuano a guardare all’Udc. Con grandi speranze, come nel caso D’Alema, che dice: «Un’alleanza tra noi e i moderati è assolutamente necessaria per rimettere in moto il Paese». Con minori illusioni, come nel caso di Bersani che non dà per scontata un’intesa con i centristi e che punta, piuttosto, a mantenere con loro un coordinamento in Parlamento. A sentire Casini ha ragione il segretario a improntare la sua linea nei confronti dell’Udc a un sano realismo. Il leader del terzo polo conferma di avere un «ottimo rapporto con Bersani», ma aggiunge: «Però non si fa politica con i rapporti personali e il Pd deve ancora chiarire le scelte che intende fare su alcune materie, le pensioni per esempio».
Al contrario degli esponenti del Partito democratico, Casini non ha mai avuto dubbi sull’andamento di questo complicato martedì: «Solo chi non capisce Berlusconi e la politica poteva pensare che avrebbe fatto un passo indietro. Figuriamoci, ha già prenotato gli spazi elettorali e vuole andare al voto con il suo governo nel 2012: una crisi adesso non gli conviene. E su questo obiettivo ha in Bossi un alleato di ferro: anche lui punta ad arrivare alle elezioni il prossimo anno con questa legge elettorale, per mettere i suoi uomini nelle liste. Perciò Berlusconi non può rompere con il leader della Lega sulle pensioni».
Secondo il leader dell’Udc «per il bene del Paese e dello stesso premier sarebbe necessario che lui facesse un passo indietro subito, ma non lo farà ». E allora? «E allora la dico molto francamente e brutalmente: l’opposizione non ci rimetterà più di tanto, perché più Berlusconi va avanti, più si dimostra che questi non sono capaci di governare. Purtroppo, però, ci rimetterà l’Italia».
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