by Sergio Segio | 19 Ottobre 2011 6:56
Lo sconosciuto è il nuovo segretario generale dei metalmeccanici Cgil, un ex operaio che all’interno del suo sindacato ha sempre svolto un lavoro di seconda fila. Davanti ai microfoni pensa velocemente a una cosa da dire, sta improvvisando. «Quello della Fiat è un ricatto bello e buono», sono le parole che gli escono dalla bocca. Se ci sono momenti che definiscono una storia, eccone uno. Maurizio Landini diventa il nemico ufficiale di Sergio Marchionne, mentre la sinistra, alla perenne ricerca di uomini nuovi, si segna quel nome.
Sono passati appena 16 mesi da quella sera, e l’ex dipendente della Ceti, Cooperativa elettricisti termo idraulica con sede a Cavriago, il paese emiliano noto per il busto di Lenin sulla piazza, è ormai uscito dall’anonimato. Lui e la sua Fiom sono un punto fermo per la sinistra radicale, al pari di Nichi Vendola. Cambiare la fabbrica per cambiare il mondo, scritto con Giancarlo Feliziani (Bompiani, pp. 164, 15, in libreria da oggi), potrebbe anche essere letto come il racconto di parte dello scontro Fiat-Fiom che ha segnato il 2011, da Pomigliano fino al referendum di Mirafiori, passando per l’ex Bertone e le cause in tribunale. Ma per quanto fondamentale nel fornire a Landini il ruolo di antagonista marchionnesco e la conseguente visibilità , quella è solo una parte della vicenda che viene raccontata.
Il libro-intervista è soprattutto una confessione a cuore davvero aperto, una autoanalisi sulla nascita di un nuovo capo. La voce sembra realmente sincera, alcune risposte rivelano quel candore da antipersonaggio alla base della popolarità che riscuote oggi il segretario della Fiom. Landini è diretto, è sindacalista nell’anima, ma non parla sindacalese. Accetta di confessarsi senza filtri, e semina qualche sorpresa. A cominciare dalle parole di stima per Sergio Marchionne, che testimoniano un curioso legame tra nemici. «È una persona che dice con chiarezza quello che pensa. Non è poco. Non solo, è una persona abituata a rischiare per le cose che pensa. E che ha il coraggio delle azioni. E questi io li trovo elementi apprezzabili, perché sono caratteristiche che nel nostro paese hanno in pochi».
Le critiche alla politica industriale Fiat sono espresse con foga e argomenti, ma Landini riserva le frasi più affilate alla «politica cialtrona», che per mesi ha discettato sugli accordi di Pomigliano e Mirafiori senza degnarsi neppure di leggerli fino in fondo. Ce n’è per l’attuale governo: «Non ha svolto quel ruolo che un esecutivo degno di questo nome avrebbe dovuto svolgere, scaricando ogni responsabilità sui lavoratori Fiat». Ancora peggio per la «cosiddetta sinistra», ritenuta colpevole di aver perso la capacità di «comportamenti diversi», capaci di contrastare l’idea che tutti abbiano un prezzo. Alla fine, Landini si svela per un uomo di sinistra che dice cose di sinistra. E così facendo esercita una supplenza.
Ma Cambiare esce dai binari della cronaca corrente per diventare una indagine privata su un leader atipico, grazie a una controparte come Feliziani, già autore di libri molto belli su Guido Rossa e sulla strage di Brescia, che insiste con domande anche scomode. In un libro pieno di inediti retroscena politico-sindacali, restano nella memoria le storie di vita quotidiana, raccontate con tono diretto e semplice. Durante i giorni del referendum a Mirafiori, nel pieno della bagarre mediatica, Landini incontra una signora in treno. La donna lo prende da parte e gli chiede: scusi, ma è vero che esistono ancora le catene di montaggio? «Allora — è la risposta — è proprio vero che in questi anni il lavoro è stato rimosso, si è raccontato un mondo che non esiste, dove la tecnologia lavora al tuo posto».
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