by Sergio Segio | 17 Ottobre 2011 6:03
LONDRA. LA PIà™ grande minoranza della Gran Bretagna non ha un’etnia, una lingua o un colore: ne ha due. Un nuovo metodo di contare le persone di “mixed race”, di razza mista, come le definisce il censimento nazionale, ha prodotto un risultato sorprendente: due milioni di cittadini, pari al 3 per cento della popolazione britannica, hanno genitori di nazionalità diverse. E poiché le coppie miste sono ancora più numerose tra i giovani, in particolare nella cosiddetta “Ryan Air generation”, la generazione dei nuovi nomadi, espatriati a Londra per studio e per lavoro, si prevede che il numero dei residenti con doppio passaporto raddoppierà entro il 2020, per poi continuare a espandersi sempre più rapidamente. Se il Regno Unito, come spesso accade, anticipa tendenze destinate a coinvolgere tutta l’Europa, significa che il fenomeno si manifesterà e crescerà anche nel resto del continente. Senza quasi accorgercene, mentre politici ancorati al passato fanno battaglie obsolete contro l’immigrazione e per la difesa della propria identità culturale, stiamo diventando tutti meticci.
La parola era, e per qualcuno rimane, offensiva, o perlomeno sgradevole, il connotato di una condizione considerata sfavorevole, degradata, se non addirittura inferiore. «Per questo, quando sul censimento trovano la casella “razza mista”, molti britannici non sa la sentono di metterci una crocetta sopra», spiega la professoressa Alita Nandi, analista dell’Institute for Social and Economic Research, che ha condotto le nuove ricerche in questo campo per conto della Bbc.
Fino a ora, l’etnia di una persona, nelle statistiche ufficiali di questo paese, era determinata da una scelta di opzioni limitate, come “bianco”, “nero caraibico”, “nero africano”. Ma adesso una scuola di pensiero accademica ritiene che, nell’era della globalizzazione, sia più giusto richiedere alla gente di indicare la “nazionalità ” dei genitori, per poter stabilire l’appartenenza a un gruppo etnico.
È quello che hanno fatto gli esperti del rapporto commissionato dalla Bbc, analizzando dati forniti dall’Household Longitudinal Study, raccolti tra 100 mila persone in 40 mila famiglie. Il risultato è stato che, mentre solo lo 0,88 per cento dei residenti in Gran Bretagna si definivano di “razza mista” nel censimento del 2001, quasi il 2 per cento degli adulti indicano di avere una “discendenza mista” nell’ampio campione esaminato dalla Bbc. La differenza rispetto al censimento è ancora più marcata tra i bambini e ragazzi al di sotto dei 16 anni, il 9 per cento dei quali affermano di avere genitori di etnie differenti. Messe insieme, queste cifre suggeriscono che oggi ci sono più di due milioni di persone nel Regno Unito con un padre e una madre dal passaporto diverso, pari a circa il 3 per cento della popolazione.
«Usando questa più ampia definizione di etnicità », commenta la professoressa Nandi, «apprendiamo che gli individui di origine mista sono più numerosi di ogni altra minoranza etnica presente nel nostro paese»: più dei britannici di origine indiana, la seconda minoranza più numerosa con 1 milione e 800 mila persone; più dei neri caraibici, 1 milione e 500 mila; più dei neri africani, dei pachistani, degli arabi, di ogni altro gruppo etnico.
Scoprire che i meticci sono la prima minoranza, e il gruppo etnico in procinto di moltiplicarsi più di ogni altro nel prossimo decennio, spinge i ricercatori a chiedersi se ciò può avere effetti socialmente positivi o negativi. E il loro primo riscontro contribuisce a smentire lo stereotipo del meticcio come specie disagiata. Il rapporto rivela infatti che il 79 per cento dei figli di persone con genitori di diversa nazionalità raggiungono gli standard di eccellenza scolastici stabiliti dal ministero dell’istruzione per i bambini di 10 anni: la stessa percentuale dei figli di britannici di origine indiana, mentre i figli di bianchi che ottengono lo stesso livello accademico sono il 77 per cento, quelli di pachistani e bengalesi il 67, quelli dei neri il 65. Nulla lascia pensare che le nuove generazioni di “meticci” non avranno successo nella vita, conclude la Bbc, prevedendo al contrario che una crescente integrazione etnica produrrà una società più armonica, creativa e piena di risorse.
Per chi vive a Londra, naturalmente, questa è un po’ come la scoperta dell’acqua calda: la capitale britannica ha stabilito il suo primato di “New York d’Europa” proprio attraverso il prodigioso afflusso di immigrati, o espatriati come è più corretto definire quelli che non ci sono venuti con l’idea di restarci permanentemente, negli ultimi due decenni. Gli stranieri a Londra sono ufficialmente il 31 per cento, 2 milioni e 300 mila su una popolazione di quasi 8 milioni, ma sono in realtà assai di più, probabilmente un abitante su due, il 50 per cento, contando tutti quelli che non appaiono nelle statistiche ufficiali, venuti qui per studiare l’inglese, fare un corso, lavorare in un ristorante o in un negozio, trascorrere un gap year o un sabbatico, senza abbandonare la residenza nel Paese di provenienza. Ci sono 71 diverse nazionalità tra i dipendenti della Paribas, una banca della City. Ce ne sono più di cento in molte scuole dei quartieri periferici. E in tutta la metropoli si parlano un totale di 300 lingue e dialetti.
Ma non è solo questione di Londra: i trend demografici pronosticano che fra dieci anni, in città e cittadine come Birmingham, Luton, Leeds, i “wasp”, white anglo-saxon protestants, insomma i bianchi inglesi, saranno diventati una minoranza.
Mettere così tanti stranieri di nazionalità differenti tutti insieme in una capitale come Londra o in una nazione come l’Inghilterra ha una conseguenza facilmente immaginabile: capita sempre più di frequente che due persone con passaporto diverso si innamorino e facciano dei figli. Le barriere religiose e i pregiudizi razziali contano ancora, specialmente nelle comunità più tradizionaliste, ma basta guardarsi intorno, a Londra, per incontrare giovani coppie italo-libanesi, anglo-francesi, ispano- germaniche, franco-caraibiche, e così via. Nelle università , nei luoghi di lavoro, nei caffè della metropoli sul Tamigi, questa generazione di espatriati tra i venti e i trent’anni, che va e viene per l’Europa con i voli a basso costo della Ryan Air, preferisce avere un iPad che l’automobile e vive il nomadismo come un’espressione di libertà anziché come un limite, sta costruendo la società del futuro: «È un mutamento sismico rispetto al passato anche solo recente», dice Mark Boyle, esperto di migrazione della National University in Irlanda, «sono i nuovi nomadi del ventunesimo secolo, tecnologicizzati, irrequieti, senza bagaglio, aperti a ogni esperienza». E, si potrebbe aggiungere, in buona parte meticci.
Due etnie, due nazionalità , due lingue, al posto di una sola: è dunque questo il nostro domani, avverte il rapporto della Bbc. Bisognerà solo trovare un nome per definire il concetto, un nome migliore di “razza mista”: dove in effetti il termine spiacevole non è tanto “mista”, bensì “razza”. Come ci insegnò Albert Einstein, nel noto aneddoto sul suo primo ingresso da immigrato negli Stati Uniti, quando alla domanda dell’agente addetto alla dogana, a quale razza appartiene?, pare che l’inventore della teoria della relatività rispose lapidario: «Alla razza umana».
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