Lega, Bossi striglia i colonnelli “Troppa gente parla a vanvera”

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ROMA – Tira aria di tempesta nella Lega. Umberto Bossi giura fedeltà  al governo Berlusconi, poi irrompe nella delicata stagione dei congressi padani. E lo scontento tra le camicie verdi è sempre più esplosivo. Domenica notte il Senatùr si è presentato a sorpresa alla festa di partito di Buguggiate, nel varesotto. Gli uomini legati al Cerchio Magico – il cordone sanitario che dalla malattia circonda fisicamente Bossi e famiglia – hanno appena perso il congresso di Brescia e della Val Camonica in favore dei maroniani. Così il “Capo” interviene: domenica si gioca la partita più importante, la provincia di Varese. E Bossi si schiera, sostiene Maurilio Canton, il candidato della Lega di famiglia.
Si tratta del sindaco di Cadrezzate che – stando a quanto raccontano i leghisti della zona – al momento ha solo un terzo dei voti. Troppo rischioso mandarlo a perdere nella provincia che è il cuore della Lega, il territorio da dove vengono tanto Bossi quanto Maroni, così come il cerchista Reguzzoni e il segretario lombardo Giorgetti, già  nel mirino dei pretoriani di Gemonio. Con il suo intervento Bossi fa saltare anche l’ultima mediazione alla ricerca di un candidato di sintesi. Nel pomeriggio Maroni va in via Bellerio dove incontra il Capo circondato da Reguzzoni e Bricolo. Cerca un chiarimento ma all’uscita deve precisare che il suo appoggio al referendum non guardava al voto anticipato (l’ipotesi aveva allarmato tutto il centrodestra): «Sono retroscena infondati, frutto di libera fantasia».
Il secondo scontro che fa tremare la Lega arriva dal Veneto. Il sindaco di Verona Flavio Tosi, maroniano di ferro, liquida così una domanda su Napolitano per il quale la Padania non esiste: «È un dibattito che non serve, possiamo discutere se la Padania esista o meno, dove inizia o finisce. È filosofia, ma i problemi del Paese restano». Così Tosi – già  nel mirino per le ripetute dichiarazioni contro Berlusconi e il suo governo – viene stroncato da Calderoli: «Dissento profondamente, le sue dichiarazioni contrastano con le finalità  del nostro statuto che il sindaco dovrebbe conoscere e rispettare». Inevitabile la marcia indietro di Tosi, che si giustifica sottolineando di aver voluto evitare tensioni con il Colle. Ma si combatte anche a Treviso, dove i vertici locali si riuniscono per decidere l’eventuale espulsione di un altro leghista scontento, l’ex sindaco-sceriffo Gentilini che si era detto d’accordo con Napolitano. Anche se in serata il segretario provinciale, Antonio Da Re, placa gli animi dicendo che «non ci sarà  nessuna espulsione», il clima resta incandescente con Castelli che ribadisce che chi non è d’accordo sull’indipendenza «vada in un altro partito» e Gentilini che ribadisce «l’Italia è una sola, quando avremo il 50% dei voti ne riparleremo».
Così la giornata della Lega finisce com’era iniziata, all’insegna delle minacce e della tensione. Già , perché Bossi nel comizio notturno aveva attaccato chi non si uniforma al pensiero unico dicendo che «nella Lega ultimamente vedo troppa gente che parla a vanvera, troppi geni» che chiedono di mollare Berlusconi. Il Senatùr dice di avercela con chi «all’inizio della Lega non c’era» (quindi forse non con Maroni, ma con i suoi sì), torna a difendere la moglie (per molti ispiratrice del Cerchio Magico) dicendo che «i soldi per fare la Lega li ha messi la Manuela». Poi parla di governo, dice che la Lega «è leale» e zittisce chi (la maggioranza del partito) non vuole più l’alleanza con il Cavaliere: «Alle elezioni si può andare da soli, però sapendo già  che vince la sinistra». Rilancia sulla Padania e a Napolitano dice che «è facile negare che esista per rassicurare, ma tutti hanno capito che l’Italia non tiene più». Chiude con un attacco a Confindustria e a Della Valle: «Se gli imprenditori stanno gridando è perché anche loro qualche difetto ce l’hanno, non c’è più nessuno che è capace di inventare un lavoro».


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