Le tre promesse del Cavaliere Le telefonate di Tremonti al direttorio

by Sergio Segio | 19 Ottobre 2011 6:11

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Ed è questo caso a preoccupare maggiormente il premier, che dopo l’indicazione di Draghi al vertice dell’Eurotower aveva garantito all’inquilino dell’Eliseo di liberare il posto oggi occupato da Bini Smaghi nel board di Francoforte, per lasciarlo a un rappresentante francese.
È una «preoccupazione istituzionale», così la definisce il Cavaliere, che rischia di deflagrare al Consiglio europeo e di trasformarsi in conflitto diplomatico, se è vero che Sarkozy — qualora permanesse lo stallo — sarebbe pronto a chiudere il vertice di Bruxelles con una conferenza stampa per denunciare la situazione. Al nodo della Bce — che rischia di diventare un cappio per il governo — Berlusconi accompagna poi un timore politico, la sensazione cioè di essere vissuto dai maggiori partner dell’Unione come un peso di cui liberarsi, quasi che all’accerchiamento a Roma si sovrapponesse quello delle più importanti cancellerie: Parigi e Berlino.
È difficile decrittare la confidenza fatta dal Cavaliere a un rappresentante della maggioranza, «ormai mi vogliono far fuori anche in Europa», ma è probabile che il premier interpreti come un attacco diretto e personale la tesi secondo cui l’Italia sarebbe l’anello debole della moneta unica. Per evitare che al vertice europeo venga posto sul banco degli imputati, Berlusconi deve quindi risolvere per tempo l’«affaire Bce» e ottemperare all’impegno con Sarkozy: deve insomma convincere Bini Smaghi a dimettersi. Il banchiere — diventato simpatico al presidente del Consiglio da quando ha saputo che è un ottimo ballerino di shake — non è disposto però a prendere ordini dalla politica, e smentisce di aver preso impegni in tal senso con Sarkozy.
Adesso il problema (istituzionale, diplomatico e politico) è tutto di Berlusconi, che avrebbe un modo per risolvere la vertenza: la poltrona di Via Nazionale. Il punto è che il Cavaliere ha promesso quell’incarico a tanti, anzi a troppi: in Europa ha fatto il nome di Grilli per compiacere Tremonti; al Quirinale e a Bankitalia ha fatto il nome di Saccomanni per assecondare Napolitano e Draghi; a Bini Smaghi ha fatto il nome di Bini Smaghi per accontentare Sarkozy. E ora si trova in un ginepraio da cui non riesce a uscire, con l’ipotesi di un «quarto uomo» che viene messa in campo.
Sono questi i «problemi da risolvere», per questo Berlusconi ripete nei conversari riservati che «scioglierà  la riserva la prossima settimana», sebbene nel governo spingano per una soluzione entro dopodomani, prima cioè del Consiglio europeo. Ma il vertice di ieri tra il premier, Tremonti e Bossi si è concluso con l’ennesima fumata nera. E il vuoto decisionale sta lasciando spazio a operazioni di ogni tipo: quasi fosse una campagna elettorale, il titolare dell’Economia ha iniziato a chiamare uno a uno i membri del direttorio di Bankitalia per sostenere la candidatura di Grilli; Gianni Letta ha provato a sondare il Colle per capire quanto è indigesto il nome di Bini Smaghi al capo dello Stato; e nella Lega c’è chi — come Giorgetti — avvisa di stare attenti all’ex ministro dell’Economia Siniscalco «che si sta scaldando a bordo campo».
Lo stallo nel governo si riproduce in modo speculare sul decreto per lo Sviluppo. Ad attendere una risposta in questo caso sono le imprese, che hanno inviato un avviso di mora al premier sotto forma di lettera: «Il tempo è scaduto». Invece Berlusconi ha bisogno di tempo anche su questo fronte, per cercare di recuperare fondi alla bisogna. Pubblicamente il Cavaliere dice che «i soldi sono finiti»: è una mossa che serve a rimediare in parte all’errore mediatico compiuto nei mesi passati, quando il provvedimento è stato caricato di molte attese, anzi troppe.
L’operazione al ribasso di Berlusconi, però, cela l’intenzione di riuscire a proporre un decreto che abbia dei fondi e che si farebbe forza su tre punti: infrastrutture, aiuti alle imprese e semplificazioni. Peccato che nel governo sia in corso il gioco dei tre tavoli che somiglia tanto al gioco delle tre carte: così al «tavolo» guidato dal ministro per lo Sviluppo economico, il titolare dell’Economia non partecipa; al «tavolo» gestito da Tremonti, a sua volta Romani non si fa vedere. E intanto Tremonti e Calderoli starebbero studiando riservatamente alcune norme da proporre in corso d’opera.
È questa la collegialità  che regna nel governo, dove Frattini invoca «nuove risorse per investimenti», il titolare di Via XX settembre risponde che «è inutile sprecare fiato, tanto i soldi non ci sono», e Romani replica: «Staremo a vedere chi l’avrà  vinta». Il rischio è che il provvedimento arrivi fuori tempo massimo, se a Montecitorio il centrodestra non garantirà  d’ora in poi la maggioranza. Ieri c’erano tutti a votare, compreso Berlusconi. E quando la responsabile delle Politiche comunitarie, Bernini, ha lasciato l’Aula dicendo che doveva andare in tv, Verdini l’ha avvisata: «Guarda che se qui mancano i numeri, in studio ci entri da ministro e ci esci da ex».
Sono tante le risposte che deve il Cavaliere, forse troppe. Bersani tutto compreso nel suo ruolo fa mostra di essere irritato: «Sulla nomina a Bankitalia, il governo non ha ancora informato il leader pro tempore dell’opposizione»…

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