Le promesse mancate del Lingotto in Italia entro il 2014 servirà  un milione di auto in più

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TORINO – L’ultimo annuncio, al termine di una incredibile girandola di previsioni, smentite e pettegolezzi, parla di «una architettura» in grado di far produrre a Mirafiori «un suv con il marchio Jeep» e «se si deciderà  in futuro» anche un suv con il marchio Alfa Romeo. Prima di questa versione la Fiat aveva annunciato a Torino: un monovolume (primavera 2010) poi migrato in Serbia, due suv (inizio 2011), la sospensione dei suv perché il cambio con il dollaro era sfavorevole (è esattamente ai livelli di un anno fa) e poi il suv della Jeep. Nell’ultima versione, quella dell’altro ieri, l’investimento nello stabilimento di Torino sarà  «più o meno di un miliardo». L’unica granitica certezza in mezzo a tante ipotesi è che l’inizio della produzione verrà  spostato di un anno, a fine 2013. Tradotto in soldoni significa che i 4.200 addetti delle Carrozzerie di Mirafiori impegnati a produrre il futuro suv rimarranno un anno in più in cassa integrazione rimettendoci di tasca propria circa 6.000 euro ciascuno. Perché la produzione era inizialmente prevista per fine 2012 tant’è che la cassa integrazione prevista dal contestato accordo su Mirafiori (quello approvato di misura nel referendum di un anno fa) scade nella primavera del prossimo anno.
Le tute blu di Torino non sono sole oggi a doversi lamentare delle promesse non mantenute di Marchionne. Il 19 febbraio 2007, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, l’ad del Lingotto annunciava che «a Termini Imerese la soluzione è il raddoppio dello stabilimento» facendo sognare ai siciliani «l’intenzione di portarci la produzione di un nuovo modello arrivando a 600 vetture al giorno». Il 6 marzo successivo, al salone di Ginevra, Marchionne respingeva con sdegno i rumors sul futuro dello stabilimento vicino a Palermo: «Aumentare la produzione in Polonia senza risolvere la questione dello stabilimento siciliano è inconcepibile». Tanto che il 15 novembre dello stesso anno Marchionne poteva dichiarare: «Su Termini c’è la soluzione. Stiamo limando gli ultimi dettagli». Lo stabilimento, come si sa, chiuderà  a fine dicembre e la produzione sarà  trasferita in Polonia.
Non è solo un problema di singole produzioni o di singoli stabilimenti. Sono le promesse contenute nel piano Fabbrica Italia che sarà  difficile mantenere. Difficile non vuol dire impossibile ma certo la strada è molto in salita e presuppone anche una concordia nelle fabbriche che è oggi arduo ipotizzare. Il piano presentato da Marchionne all’investor day del 23 aprile 2010 era chiarissimo: «L’obiettivo di fabbrica Italia è quello di incrementare gradualmente i volumi di produzione di autovetture nei nostri impianti italiani fino al 2014. In totale il piano è quello di raggiungere in Italia la produzione di 1.650.000 veicoli nell’ultimo anno del piano stesso». Nei primi nove mesi del 2011 gli stabilimenti italiani di Fiat hanno prodotto 486.190 autovetture e veicoli commerciali. La proiezione a fine anno è di circa 650 mila pezzi, più o meno lo stesso livello del 2009. Dunque nei prossimi 36 mesi la Fiat dovrà  aumentare la produzione italiana di un milione di automobili. Questo sarà  possibile se il suv di Mirafiori e la Panda di Pomigliano raggiungeranno il massimo regime produttivo (poco più di 500 mila auto all’anno) e se a queste se ne aggiungeranno altrettante di altri modelli. Una sfida ardua se si pensa che se ne sono già  andati due dei cinque anni del piano e che la produzione degli stabilimenti italiani non si è incrementata, anzi è rimasta al palo.
E’ ovvio che la crisi ha giocato un ruolo pesante e che non ci sono manager con la bacchetta magica in giro per il mondo. Ma è proprio per questo che, nelle difficoltà , la Fiat avrebbe bisogno di cercare alleanze piuttosto che farsi altri nemici in Italia. Anche l’annuncio dell’uscita da Confindustria appare irrituale: in quale azienda un passo del genere viene comunicato dai manager e non dalla proprietà ?


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