Le imprese al premier: il tempo ora è scaduto

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ROMA — L’idea della lettera da inviare a Silvio Berlusconi per sollecitare riforme strutturali nel decreto sviluppo è di due-tre giorni fa. Le cinque maggiori associazioni di imprese, Abi (Banche), Ania (assicurazioni), Alleanza cooperative, Confindustria e Rete Imprese Italia (Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti), l’avevano preparata intuendo che del tanto atteso provvedimento, alla data prevista, quella di domani, non ci sarebbe stata traccia.
Tuttavia sentirselo annunciare direttamente ieri dal premier, a poche ore dall’Ecofin e dal Consiglio europeo del weekend, ha fatto un certo effetto: «Non ho particolare fretta, una settimana non cambia molto» è stata la dichiarazione che ha gelato gli animi. Tuttavia la lettera era pronta ed è stata comunque inviata pubblicamente. Una mossa inevitabile visto l’ormai assoluta mancanza di interlocuzione tra governo e associazioni: nessuna telefonata, nessun incontro.
La sintesi è lapidaria: «Il tempo è scaduto». A questo punto servono «misure strutturali, concrete e credibili, che diano un chiaro segnale di inversione di marcia, in assenza rischierebbero di essere vanificati gli sforzi fatti fino ad oggi in ordine alla tenuta dei conti pubblici». A Sky Tg24 è il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, a ricordare le proposte già  contenute nel «Manifesto per la crescita»: «Oltre alla patrimoniale anche le privatizzazioni». E ancora: «Gli enti locali hanno tantissimi asset, immobili da vendere e per incentivarli i proventi delle vendite devono essere esclusi dal patto di stabilità  interno».
Le cinque sigle offrono la propria disponibilità  a «partecipare alla individuazione e alla messa a punto delle misure», un confronto, affermano, che sarebbe «oltremodo utile e pienamente in linea con quanto avviene in ogni Paese della Unione Europea». Ma è evidente a tutti che i tavoli di concertazione, avviati in pompa magna con l’invito di 36 sigle il 4 agosto scorso, proseguiti con i mercoledì presso il ministero dell’Economia, sono stati abbandonati dal governo. Un esecutivo che, agli occhi delle imprese, si mostra ormai paralizzato dai conflitti interni.
Come quello che ha portato alla creazione di una cabina di regia sul decreto sviluppo, che di fatto ha escluso il responsabile del Tesoro, Giulio Tremonti, colpevole di non aver messo sul tavolo risorse aggiuntive. Ma anche come la recente sottrazione al ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, delle risorse derivanti dalla vendita delle frequenze tv, operata da Tremonti con la legge di Stabilità . Un botta e risposta cui le imprese hanno assistito impotenti e sconcertate.
«La politica agisca con responsabilità  o se ne vada. Il nostro non è un giudizio politico ma economico, nell’interesse delle imprese» ha affermato Ivan Malavasi, presidente della Cna e di Rete Imprese Italia. Ora le imprese temono che Berlusconi, che ieri ha promesso di volersi «inventare qualcosa» per ovviare alla mancanza di risorse, torni sull’idea del condono fiscale o edilizio. «Non sarebbe questa la strada giusta» ha ribadito ieri Galli.
«La situazione è sempre più difficile, la fiducia nel nostro Paese sta velocemente diminuendo malgrado gli innegabili punti di forza dell’Italia e i risultati raggiunti» concedono le associazioni. Timori che ieri sono stati accresciuti dalle indiscrezioni sul possibile commissariamento dei Paesi a rischio per il debito che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, vedrebbe con favore come misura risolutiva. «Dalla Merkel sono arrivate parole importanti — ha commentato Galli —, non vorrei trovarmi a essere uno di quei Paesi. Per questo è urgente che il governo cominci a ragionare sulle grandi riforme. Non ci sarà  un altro pasto gratis. È impensabile che dall’Unione Europea possa arrivare un nuovo aiuto senza un quadro preciso».
Un quadro la cui messa a punto avrebbe potuto essere attuata tramite il decreto sviluppo, rispondendo finalmente alla lettera della Bce (Banca centrale europea). «E invece l’unica misura attuata di quella lettera è stata realizzata dalle imprese e dai sindacati con l’accordo sulla flessibilità  del lavoro di giugno — è la considerazione prevalente tra i leader firmatari della lettera di ieri — e anche quella il governo stava per farla saltare…».


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