Le fazioni ribelli litigano sul corpo di Gheddafi

by Sergio Segio | 23 Ottobre 2011 7:54

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MISURATA — E’ all’insegna di lacerazioni profonde e gigantesche difficoltà  che la rivoluzione libica inaugura la sua prossima fase: dalla guerra contro la dittatura alla ricostruzione democratica. Gli scogli maggiori si condensano in due parole: legittimazione del potere e monopolio della forza. «La ricostruzione del Paese è una missione impossibile alla Tom Cruise», ha dichiarato ieri al World Economic Forum, sulla costa giordana del Mar Morto, il premier ad interim Mahmoud Jibril citando il problema delle armi fuori controllo e la necessità  del dialogo interno. Ma basta osservare gli sviluppi sul terreno per cogliere i sintomi delle tempeste a venire.
Indicativa la vicenda del corpo di Gheddafi. Le brigate di Misurata si comportano come se fosse loro proprietà  privata (anche ieri è continuato il corteo dei curiosi con la mascherina e la macchina fotografica all’interno della cella frigorifera dove sono esibiti i cadaveri del Colonnello e del figlio Mutassim). «Siamo la città  martire per eccellenza. Tocca a noi decidere che fare. E oltretutto perché si è scelta Bengasi come sede della dichiarazione di liberazione ufficiale?», dichiarano i responsabili misuratini. Sino a ieri mattina promettevano che l’autopsia non ci sarebbe mai stata. Il motivo è semplice: appare molto probabile che il dittatore sia stato linciato. Un breve video diffuso su YouTube sembra indicare che sia stato sodomizzato con un bastone prima di venire ucciso. Ma in serata è giunta la notizia che la parte tripolina del Consiglio Nazionale Transitorio avrebbe ceduto alle pressioni della comunità  internazionale e ordinato l’autopsia (risultati resi noti nei prossimi giorni) e che il corpo sarà  consegnato alla famiglia, mentre il settimanale Der Spiegel scrive che i servizi segreti tedeschi sapevano da mesi il luogo esatto del nascondiglio di Gheddafi.
Sulla carta i prossimi passi sarebbero già  definiti. Oggi da Bengasi, città  dove iniziarono le rivolte il 17 febbraio, si darà  l’avvio al processo politico. Entro 60 giorni dovrebbe crearsi una commissione costituente destinata a preparare le leggi fondamentali dello Stato poi sottoposte a referendum. Nel frattempo dovrebbero dimettersi i responsabili del Consiglio Nazionale Transitorio creato a Bengasi, tra cui Jibril e il presidente Abdel Jalil, sostituiti da un governo provvisorio che porti alle elezioni: «Primo voto democratico entro il prossimo giugno», ha detto Jibril.
Questo in teoria. In pratica pesano i 42 anni di dittatura che hanno devastato i centri del potere e cancellato le prime espressioni di democrazia nate nell’ultimo periodo della monarchia. Si spiega anche così il frazionamento del Paese: Cirenaica contro Tripolitania, radici arabe contro identità  africana, tradizioni tribali contro élite urbane, laici e religiosi, zona costiera e deserto. In mancanza di collanti nazionali sono in crescita i sentimenti localistici, che si esprimono nelle frizioni tra brigate rivoluzionarie di Misurata, Tripoli, Bengasi e quelle berbere sui monti di Nafusa. Non aiutano le notizie riguardanti Saif al Islam, il figlio più politico di Gheddafi, che sembra essere sfuggito ai combattimenti degli ultimi giorni. Ieri le tribù più fedeli ai Gheddafi nella zona di Sirte, oltre ai Warfallah e Magarbah della regione di Bani Walid, l’hanno nominato successore del Colonnello dichiarando che sarà  suo compito continuare la «guerra di liberazione contro la Nato e i suoi alleati libici».

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