Le due Italie della Sanità Bypass più rischioso al Sud
ROMA — Dove si cura meglio l’infarto? Un buon centro per l’artroscopia del ginocchio? Il numero uno nella chirurgia del tumore polmonare? La risposta è nella classifica online degli ospedali italiani, pubblicata su Internet con lettura riservata agli addetti ai lavori. Studio immane del ministero della Salute realizzato da Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari regionali diretta da Fulvio Moirano. Migliaia di dati, la fotografa dell’attività di circa 1.475 strutture tra pubbliche, private e convenzionate. I numeri mostrano la solita Italia a due marce. Il centro nord in generale più efficiente del centro sud. In alcuni centri di Piemonte o Lombardia si può essere operati di bypass con un rischio di mortalità sovrapponibile a 0. In certi ospedali siciliani il rischio sfiora il 10%. Ma anche nell’ambito di una stessa Asl esistono situazioni in bianco e nero. La possibilità per una persona anziana di essere operata al femore entro 48 ore dal trauma (tempo considerato ottimale per ridurre le complicanze) oscillano tra il 2% in provincia di Frosinone e l’80% a Firenze e dintorni.
Metodo
Il lavoro fa parte del Programma nazionale esiti. L’edizione 2005-2009 è stata consegnata la scorsa estate alle Regioni. Si sta riflettendo sull’opportunità di renderlo pubblico. Per ora solo i tecnici hanno ricevuto codici personali per entrare nelle pagine dell’apposito sito web.
Le «pagelle» costituiscono uno strumento per eliminare inefficienze e percentuali fuori norma. Il Lazio, ad esempio, ha già avviato la fase di correzione e si è avvantaggiato pubblicando autonomamente il rapporto 2010. Hanno intrapreso un percorso di riorganizzazione Toscana, Veneto e Sicilia. I responsabili di Agenas hanno fatto il giro d’Italia per confrontarsi con Regioni e società scientifiche. L’analisi si basa sulle schede di dimissione ospedaliera, quelle che raccontano la storia di un ricovero. Esaminati 47 indicatori corrispondenti ad altrettante prestazioni, dal bypass aortocoronarico alla colecistectomia laparoscopica, dall’ictus allo scompenso cardiaco, dall’infarto a interventi chirurgici non oncologici. Si tratta di attività accreditate dalla letteratura internazionale per diagnosticare l’efficienza dei servizi sanitari.
Risultati
Alcune delle pagine più significative riguardano la mortalità a 30 giorni dall’intervento per bypass. La media italiana è del 2,2% (poco più di due pazienti su 100 muoiono a un mese dall’operazione). Nel 2009 circa 30 ospedali non hanno superato la soglia dei 50 bypass all’anno mentre il volume considerato accettabile per la sicurezza del malato è di 200.
Sono davvero troppe invece le cardiochirurgie che marciano a scartamento ridotto dal punto di vista dell’attività . Tra le eccellenze il Monzino di Milano, la Poliambulanza di Brescia, le Molinette a Torino. Al di sotto dell’1,5% il Sacco di Milano, gli ospedali Riuniti di Bergamo, il Careggi di Firenze, il San Camillo Forlanini di Roma (con 0,79%), l’Ismett di Palermo. La mortalità sale al sud, è superiore al 5% a Salerno, al Monaldi di Napoli, presso la casa di cura San Michele (Caserta, quasi 8%), al Papardo di Messina ma anche in alcune grandi aziende universitarie romane. Frattura di femore: in un anziano il trattamento ritenuto ottimale è l’intervento al massimo entro 2 giorni. La tempestività riduce il pericolo di complicanze. Opportunità negata in decine di ospedali del sud dove appena 5 pazienti su 100 vengono operati rispettando le linee guida internazionali. Ma anche a Milano (Niguarda, San Paolo) si scoprono ritardi sorprendenti che dipendono dall’organizzazione.
Le aziende sono corse ai ripari. Nel Lazio a fine 2009 è stata introdotta una nuova modulazione di tariffa. Il rimborso è tanto più alto quanto minore è l’attesa del paziente con femore fratturato. In Toscana questo indicatore rientra nella tabella di valutazione dei manager in fase di eventuale riconferma. Tra le prestazioni sentinella non potevano mancare i parti con taglio cesareo primario (primo figlio). E qui la forbice è davvero ampia. Si va dalle percentuali virtuose del Buzzi (Milano), ospedali Riuniti (Bergamo), casa di cura per il Bambino (Monza) dove meno di 10 donne su 100 partoriscono con la chirurgia. A realtà del sud che potrebbero essere definite vere e proprie fabbriche di cesarei. Case di cura private dove 8 donne su 10 ricevono il taglio probabilmente senza criteri di appropriatezza, solo perché vantaggioso sul piano della remunerazione. La Campania si distingue con percentuali decisamente straordinarie, in negativo. Ci sono però esempi estremi anche in Piemonte. Presso la clinica Sedes Sapientiae il cesareo è scontato (9 volte su 10).
Uso dei dati
Si sta discutendo sull’uso dei dati. È opportuno, ci si chiede, metterli a disposizione della comunità oltre che dei decisori? È stato analizzato in un documento l’impatto socio economico sulla popolazione. Vantaggi: il cittadino potrebbe entrare in possesso di informazioni utili per orientare le sue scelte. Ricadute negative: sarebbe discriminato chi non possiede Internet. Dunque i meno abbienti e bisognosi di buona sanità . Non solo. Per tutti ci sarebbero difficoltà nel comprendere correttamente le informazioni. Uno dei possibili impedimenti potrebbe consistere nello scarso senso di fiducia del cittadino sull’obiettività dei risultati. Dunque l’uso potrebbe essere riservato ai medici di famiglia e sarebbero loro a indirizzare i pazienti verso questa o quella struttura. Anche qui esistono pro e contro. Terza ipotesi: sì alle classifiche liberamente consultabili purché rielaborate in una forma di più facile lettura.
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