«Dimissioni». Ma l’opposizione si divide
ROMA — Dimissioni. Berlusconi rimetta il suo mandato nelle mani del presidente Napolitano. Questo chiede Bersani. E Di Pietro. E Casini. Tanta unità di intenti ha fatto prendere l’iniziativa al segretario del Pd: un appello unitario delle opposizioni. Bersani ha dettato il testo alla sua portavoce. Dodici semplici righe per dire l’insostenibilità della situazione e chiedere la fine del governo Berlusconi. Il testo è stato fatto leggere al capogruppo dell’Italia dei valori, Massimo Donadi, che ha dato l’ok, dopo consultazione con Antonio Di Pietro. Il blocco è arrivato però dall’Udc.
Versioni ufficiali parlano di tempi troppo lunghi per rendere il comunicato gradito a tutti. In realtà , Casini non ha ritenuto opportuno mostrarsi — in questo momento delicato — in una sorta di «cartello» con Bersani e Di Pietro. Nessun problema per Bersani, beninteso. Tanto è vero che, a luglio e a fine settembre, Casini e Bersani hanno firmato prese di posizione congiunte sulla situazione economica e su Bankitalia. Ma riguardo a Di Pietro, Casini intende marcare la differenza.
Il testo preparato da Bersani, quindi, è stato messo da parte e ciascuno dei leader dell’opposizione ha dichiarato per suo conto. Convergendo verso lo stesso obiettivo.
Il Pd ha convocato il gruppo della Camera. «Dopo la “scoppola”, dimissioni», è stata la voce unanime, presente il segretario. Posizione finale, illustrata da Franceschini: «La bocciatura del primo articolo impedisce qualsiasi altro voto del rendiconto». Non è un «incidente parlamentare», lo scrivono i costituzionalisti Bin e Pitruzzella nel loro manuale: «Se il Parlamento votasse contro il rendiconto dello Stato, la conseguenza politica non potrebbe che essere la crisi di governo». Impercorribile perciò «la via di un voto di fiducia per misurare i numeri della maggioranza». E Bersani, netto: «Berlusconi si convinca ad andare al Quirinale: un governo bocciato sul consuntivo non può fare l’assestamento di bilancio e un governo che non può fare l’assestamento non c’è più». Bersani è soddisfatto: «Noi dell’opposizione siamo stati molto abili oggi». Parla dell’uscita di alcuni deputati dopo il primo voto, per rassicurare la maggioranza sui numeri. Il leader della minoranza pd, Walter Veltroni, è sullo stesso fronte: «Berlusconi diceva che doveva essere il Parlamento a sfiduciarlo e il Parlamento lo ha sfiduciato. Tutto ciò è avvenuto con la sua (rarissima) presenza in Aula».
Ed ecco Di Pietro: «Questa bocciatura non può essere rivista con qualche riproposizione in Aula o con un voto di fiducia. Berlusconi però non si recherà dal capo dello Stato e noi ci auguriamo che il capo dello Stato, prima che sia troppo tardi, possa porre fine al governo Berlusconi e ci mandi a elezioni anticipate».
Ha detto invece Casini di non essere «contagiato dall’antiberlusconismo»: «Ma se Berlusconi non si dimette subito, fa male a se stesso e al Paese. Ci sono dei precedenti nella storia italiana: sia Goria che Andreotti in condizioni analoghe si dimisero». Secondo Casini, «le persone più ragionevoli che ha intorno dovrebbero consigliare a Berlusconi di fare un passo indietro e di ricandidarsi alla guida della sua formazione politica. Io sono in contatto con tutti, il terzo polo è intenzionato a dare un contributo costruttivo». Poi, sull’ipotesi di un Berlusconi bis: «Siamo su “Scherzi a parte”? È necessaria una fase di armistizio tra i partiti che hanno a cuore l’Italia». Dal terzo polo anche Italo Bocchino, vicepresidente di Fli, invoca le dimissioni: «Il governo non ha più i numeri». Il presidente della Camera, Fini, aveva dichiarato: «Quel che è accaduto oggi in Aula è senza precedenti».
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