«Contratti pubblicitari usati come tangenti»

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ROMA — Il suo ufficio in pieno centro di Roma si era trasformato in una sorta di crocevia degli affari agevolati da palazzo Chigi. Faceva il direttore de L’Avanti!, Valter Lavitola, ma in realtà  il giornale gli serviva soprattutto come «copertura». Di questo sono ormai convinti i pubblici ministeri napoletani Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio che dopo aver ordinato perquisizioni nella redazione di via del Corso e in alcune società  collegate, vogliono adesso verificare l’entità  dei contratti pubblicitari siglati dal faccendiere. E controllare se tra gli inserzionisti ci fossero le stesse aziende di Stato che gli avevano affidato consulenze per i rapporti con il Sudamerica, proprio per scoprire se in realtà  possa trattarsi di tangenti «mascherate». Finmeccanica, ma pure altri Enti che sfruttavano soprattutto la sua vicinanza con il premier Silvio Berlusconi. Un rapporto «privilegiato», quello con il capo del governo, che avrebbe consentito a Lavitola di vedersi garantiti anche due milioni e mezzo di euro ogni anno attraverso l’erogazione dei fondi per l’editoria.

In realtà  il finanziamento ottenuto dal Dipartimento di palazzo Chigi sarebbe soltanto una delle utilità  economiche che gli erano state concesse negli ultimi anni dal governo. Perché altri milioni di euro li avrebbe ottenuti grazie alle mediazioni sulle «commesse» all’estero e che adesso hanno fatto scattare gli accertamenti su numerosi contratti siglati versando mazzette, tanto che il reato ipotizzato è la corruzione internazionale.

Un anno fa, quando raccontava di essere nell’isoletta di Santa Lucia «come un normale giornalista che vuole fare uno scoop sulla casa di Montecarlo affittata dal cognato di Gianfranco Fini», Lavitola non poteva certamente immaginare che entro qualche mese tre procure gli avrebbero dato la caccia. E invece adesso si ritrova al centro dell’affaire Tarantini, proprio per questo legame speciale con Berlusconi. Un intreccio di indagini e controlli sui quali si sta cercando di fare ordine, soprattutto per evitare che le sovrapposizioni vanifichino la possibilità  di scoprire che cosa è davvero accaduto dal 2009 ad ora.

Il «doppione» riguarda soprattutto le inchieste aperte a Roma e Bari che sono concentrate sullo stesso episodio — i pagamenti di Berlusconi a Tarantini — seppur visto da due prospettive diverse e contestando due reati che ottengono l’effetto paradosso di trasformare la vittima in indagato e viceversa. Dieci giorni fa, negando la remissione in libertà  allo stesso Tarantini e a sua moglie Nicla, accusati di estorsione a Berlusconi in concorso con Lavitola, il giudice per le indagini preliminari di Napoli affermò di non essere competente e ordinò la trasmissione degli atti a Roma. Tre giorni dopo il tribunale del Riesame del capoluogo partenopeo confermò l’incompetenza ma disegnando uno scenario completamente diverso: Tarantini non è il ricattatore, ma la vittima di Berlusconi che lo ha pagato per indurlo a mentire sulle sue feste e a negare che fosse a conoscenza di avere a che fare con delle prostitute. Non solo. Secondo il collegio la competenza è di Bari, perché è proprio per “pilotare” quel processo che il premier decise di mettere “sotto tutela” l’imprenditore provvedendo al suo completo mantenimento.

Sembrava che questa ordinanza potesse fornire l’indicazione definitiva su chi dovesse essere titolare del fascicolo, ma la scelta della Procura di Roma ha rimesso tutto in discussione. Perché a Bari sono stati inviati gli atti sull’eventuale induzione, ma si è stabilito di continuare a verificare l’ipotesi dell’estorsione. E dunque nella capitale Tarantini è indagato e Berlusconi parte lesa, mentre a Bari Berlusconi sarà  indagato e Tarantini parte lesa. L’unico a essere indagato in entrambi gli uffici giudiziari è Valter Lavitola: induzione in concorso con il premier, estorsione in concorso con l’imprenditore. Una situazione che appare difficile da gestire e dunque non è escluso che alla fine — se non saranno i pubblici ministeri a mettersi d’accordo — possa essere uno dei difensori a sollevare la questione con un’inevitabile allungamento dei tempi e con il rischio di vanificare tutte le verifiche svolte.


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