«Chiudere i ministeri a Monza» La Lega: la sentenza non ci tocca
ROMA — Erano stati inaugurati nella villa Reale di Monza lo scorso 23 luglio (due uffici, 150 metri quadrati appena) ma con una grande risonanza: i ministeri del Nord. Ieri il tribunale del lavoro di Roma li ha chiusi. Meglio: il giudice Anna Baroncini ha ordinato di «rimuovere gli effetti dei decreti» che avevano istituito queste due sedi periferiche dei ministeri, una conquista della Lega nord. Una polemica che non si era mai esaurita.
A questa decisione si è arrivati dopo un ricorso presentato dai sindacati della presidenza del Consiglio, il Sipre e lo Snaprecom. Ma la Lega si è opposta senza mezzi termini e ha sostenuto che la sentenza non la riguarda. I sindacati avevano fatto ricorso contro la decisione che, sostengono, è stata adottata senza il rispetto della legge e delle regole sindacali. Il tribunale ha dato loro ragione.
Ma Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, contesta: «Una sentenza creativa e molto opinabile», ha detto trascinandosi dietro tuttavia le polemiche anche all’interno del suo stesso partito, il Pdl. Poi ha spiegato: «La giurisprudenza del lavoro è stata a lungo un’anomalia di questo Paese, oggi si è fortunatamente ridimensionata, ma emergono ancora capacità creative che certo non aiutano l’evoluzione del nostro mercato del lavoro».
In luglio era stato per primo il Quirinale a sollevare dubbi e perplessità sulla creazione di questi ministeri del Nord. E infatti il presidente Giorgio Napolitano aveva scritto al premier Silvio Berlusconi per manifestare la sua preoccupazione. Eppure il nastro di quei due uffici nella Villa Reale di Monza era stato tagliato ugualmente.
Centocinquanta metri quadrati: se li sono spartiti i ministri Umberto Bossi, da un parte, e Roberto Calderoli, Giulio Tremonti, Michela Brambilla, dall’altra. Non sono stati molto usati questi uffici, fino ad ora, ma l’importanza attribuita dai leghisti a queste sedi ha portato non soltanto a vibranti proteste, ma anche a promesse di non rispettare la sentenza.
Per la sentenza hanno esultato, invece, il sindaco di Roma Alemanno, («lo avevamo detto che questa follia non aveva fondamento né politico né giuridico») e anche la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, quest’estate fra i più accesi detrattori dei ministeri del Nord: «Il tribunale di Roma aggiunge un ulteriore motivo per il mantenimento dei dicasteri nella Capitale, oltre a quelli di opportunità politica e amministrativa».
Anche Barbara Saltamartini, vicepresidente del Pdl a Montecitorio, plaude alla decisione del giudice del lavoro di Roma, unendosi al coro di tutta l’opposizione: «Tale decisione conferma la perplessità che avevamo sollevato assieme a numerosi colleghi del Pdl. Per questo mi auguro che il governo non perseveri in questa direzione».
Per Vannino Chiti, vice presidente pd del Senato «il tribunale mette fine ad una farsa surreale», mentre per Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, «bastava un po’ di buon senso per capire che la farsa non poteva stare in piedi». Di farsa parla anche Massimo Donadi, capogruppo dell’Idv alla Camera, aggiungendo: «Fin dall’inizio era chiaro che questo trasferimento era una scelta irrealizzabile viziata da atti illegittimi».
I sindacati della presidenza del Consiglio non si fermano. Sono pronti ad andare fino in fondo e ricorrere anche al tribunale amministrativo per riuscire a far annullare gli stessi decreti e non soltanto i loro effetti.
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