L’ultimatum di Obama “Solo cinque settimane per il salvataggio dell’euro”

by Sergio Segio | 4 Ottobre 2011 6:15

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NEW YORK – «Avete cinque settimane per salvare l’euro». L’avvertimento pressante viene dall’Amministrazione Obama, è ripreso dal New York Times che cita il consenso di diversi esperti americani. Il monito rilancia un tema agitato nelle scorse settimane dal segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, e da Barack Obama in persona nei suoi contatti con Angela Merkel. La data-limite, secondo gli Stati Uniti, è il G20 che si terrà  a Cannes sotto la presidenza francese il 3 novembre. Se entro quel summit «l’eurozona non convince i mercati che ha un piano per tenere insieme l’unione e prevenire una catena di fallimenti bancari», può accadere il peggio: un accesso di sfiducia simile al 2008, con assalti agli sportelli bancari. Così il New York Times riassume l’analisi prevalente su questa sponda dell’Atlantico. La crisi greca, vista da questa angolatura, è al tempo stesso un diversivo e un’aggravante. Un diversivo, perché con un Pil pari al 2% dell’eurozona «la Grecia non è il vero problema». E tuttavia l’incapacità  a circoscrivere e isolare questa crisi, imponendo una soluzione definitiva, contribuisce a incancrenire la sfiducia e a confermare l’impressione d’impotenza dell’eurozona.
La preoccupazione ieri ha trascinato al ribasso perfino Wall Street, nonostante un dato positivo sull’attività  manifatturiera negli Stati Uniti. Si è prolungato anche il rafforzamento del dollaro: le magagne dell’economia americana passano in secondo piano rispetto al problema dell’euro, il biglietto verde ritrova un ruolo di bene-rifugio quando gli investitori cercano di ridurre al minimo i loro rischi. Il Wall Street Journal fa i conti in tasca alle banche europee, se arriva quel default della Grecia che i mercati considerano sempre più probabile: «Gli istituti di credito europei avrebbero nei loro bilanci 50 miliardi di euro di titoli pubblici greci che a quel punto non varrebbero più nulla, in assenza di un accordo di ristrutturazione (che ne allunghi la durata e riduca i rendimenti, ma garantisca qualche percentuale di pagamento ai creditori, ndr)». Proprio ieri il consiglio di amministrazione della banca franco-belga Dexia avrebbe deciso una riunione d’emergenza: non si esclude lo “spezzatino” dell’istituto.
Moody’s Investor Service, un dipartimento dell’agenzia di rating, stima che in caso di “default ordinato”, cioè di ristrutturazione concordata, le banche dovrebbero rassegnarsi a perdere il 60% su quei titoli, cioè una perdita tripla rispetto al piano precedente che i leader dell’eurozona avevano concordato a luglio. La Casa Bianca e Wall Street hanno in comune la stessa preoccupazione: «L’eurozona deve costruire una barriera anti-incendio attorno all’Italia e alla Spagna, prima di imporre perdite aggiuntive alle banche. Altrimenti una reazione di panico a catena colpirebbe Italia e Spagna, sfociando su una crisi globale del sistema bancario». Torna il problema dell’insufficienza di capitali del fondo salva-Stati, European Financial Stability Facility (Efsf). Con 440 miliardi di euro di dotazione – ancora virtuale finché non si completano tutte le ratificazioni dei Parlamenti nazionali – l’Efsf è considerato sufficiente solo se i suoi compiti si limitano al salvataggio dei tre piccoli Stati a rischio default, Grecia Portogallo Irlanda. Come Geithner ha ricordato, le dimensioni del fondo si rivelerebbero del tutto inadeguate se si trattasse di salvare le banche francesi, o di intervenire in aiuto di Spagna e Italia. «Il prossimo dibattito sarà  centrato su come allargare questo fondo», osserva il New York Times.
Le proposte di Geithner – trasformarlo in una sorta di banca con effetto-leva, o in una polizza assicurativa per gli investitori che comprano bond pubblici – non sono state accolte finora. Intanto gli Stati Uniti osservano che si sta verificando il temuto scenario della spirale recessiva: le cure di austerità  imposte alla Grecia non fanno che avvitare il paese nella de-crescita, aumentando ulteriormente il peso dei suoi deficit e debiti in rapporto al Pil. Washington torna anche a premere sulla Bce perché si decida a ridurre i suoi tassi: ma teme che Mario Draghi non abbia l’intenzione di farlo per non perdere credibilità  verso la Germania.

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