by Sergio Segio | 3 Ottobre 2011 6:03
Il professore è appena rientrato dagli Stati Uniti, Detroit, ospite del National Institute of Child Health, chiamato a spiegare quello che gli americani si chiedono ormai come un tormento: come fare ad affrontare l’ultima emergenza del sistema sanitario, l’aumento costante del numero dei parti cesarei. È una battaglia mondiale.
Perché da trent’anni quella curva è in salita e lui, Enrico Ferrazzi, primario di patologia della gravidanza all’ospedale Buzzi di Milano è un’autorità . Insieme ai colleghi è riuscito in un’opera che ha del miracoloso: ridurre al 20 per cento, dopo una marcia che sembrava crescere in maniera infinita, la percentuale dei cesarei. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità quella percentuale non dovrebbe superare il 15 per cento; in America però nel 2010 ha raggiunto il 34 e in Italia sfiora il 40 (con la Campania che supera il 60 per cento). Il paese che ha il numero maggiore è il Brasile; il secondo al mondo è il Portogallo e subito dietro arriva l’Italia.
Numeri di un’emergenza che una campagna nazionale si ripropone di ridurre a livelli accettabili. Perché non è vero che il cesareo sia il metodo più sicuro, né che i vantaggi – la comodità di decidere il momento del parto, la mancanza di dolore – siano superiori agli handicap: si tratta comunque di un intervento chirurgico con tempi di degenza e ripresa più lenti. «Promozione della naturalità del parto», si chiama lo spot che Onda, l’Osservatorio nazionale per la salute della donna, diffonde dal suo sito. Una campagna a tappeto, che per raggiungere lo scopo parte dall’analisi delle cause. «Una volta – spiega Ferrazzi – il parto era vissuto come un evento naturale, che la famiglia allargata rendeva semplice e ovvio. Oggi la donna madre è sola, dunque impaurita, e il parto viene caricato di significati spaventosi, così che si pensa che il cesareo limiti i problemi e annulli del difficoltà ». Aggiunge Francesca Merzagora, fondatrice di Onda: «Se si chiede alle donne italiane cosa vorrebbero fare, l’80 per cento risponde che vorrebbe partorire con il metodo naturale; poi però succede che la metà ricorre al cesareo e questa è una tendenza che dobbiamo invertire». Secondo un’indagine dell’Osservatorio sono soprattutto i ginecologi a suggerire il ricorso al parto chirurgico, e trovano un terreno fertilissimo. «Il fatto è che il cesareo – dice Ida Salvo, anestestista al Buzzi – viene venduto come l’acqua santa. Mentre invece la vera soluzione sarebbe introdurre in tutte le maternità il parto indolore».
Se i cesarei sono in aumento a partire dagli anni ’80, quando si assestavano al 12 per cento, gli ultimi anni registrano picchi all’insù anche a causa di nuovi fattori. Dice Mario Merialdi, direttore del dipartimento salute riproduttiva dell’Oms: «Oggi l’età della gravidanza si è spostata in avanti e spesso c’è il ricorso a terapie ormonali. A 40 anni ci sono più preoccupazioni da parte della donna e un maggior timore dei rischi da parte dei medici». Aggiunge che quello che è radicalmente cambiato, è anche la cultura: altro che Genesi («la donna partorirà con dolore»), oggi siamo meno disposti ad accettare il dolore. Ma è questo il terreno della nuova sfida: «Per ridurre il numero dei cesarei – dice Salvo – bisogna fare in modo che il dolore del parto venga trattato come tutti gli altri dolori, e che passi il messaggio che per partorire non è necessario soffrire». Il primo passo, quindi, è la diffusione dell’epidurale che però richiede la presenza di anestesisti a turno continuo e quindi non è praticabile in tutti gli ospedali (a Milano il 25 per cento delle donne ricorre all’anestesia epidurale, ma in Italia solo il 19 per cento delle maternità ne dispone). In Italia i punti nascita sono 551 e in 289 si praticano meno di 800 parti l’anno, impossibile che siano tutti attrezzati. Al Buzzi si sperimenta anche l’uso del protossido di azoto, il cosidetto “gas esilarante” e a Firenze è in corso una sperimentazione con il remifentanil, un farmaco oppioide. Tornare a rendere il parto un evento naturale è una sfida di oggi. E a Detroit il professor Ferrazzi ha raccontato che uno dei segreti del Buzzi è stato quello di rimettere mamma e bambino nelle mani delle ostetriche. Altro che sale operatorie.
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