L’attacco ai diritti e la crisi affondano i napoletani
Una mattinata in cui la mappa delle crisi campane è servita a chiarire il quadro nazionale delle politiche industriali, «perché i fatti hanno dimostrato che la vertenza Pomigliano non era un fatto isolato ma un dispositivo di potere», sottolinea Massimo Brancato della Fiom.
Cosa significa avallare da parte del governo la linea del Lingotto lo spiegano gli operai. Alla Irisbus sono in sciopero senza stipendio da 87 giorni: «La Di Risio, su 2mila lavoratori con l’indotto, al massimo ne può assorbire 250 – spiega Meninno – per produrre Suv con componenti cinesi, furgoni e pullman granturismo. Finiremo quasi tutti in cassa e poi, tra due anni, la Fiat deciderà se tornare a Flumeri (con le commesse pubbliche sbloccate e i nuovi contratti al ribasso) oppure abbandonarci alla dismissione gestita da Di Risio». Tra i nodi c’è l’Alenia, tanto che il presidente Giorgio Napolitano, ieri a Napoli, ha incontrato i sindacati.
L’arrivo in Finmeccanica dell’ad Giuseppe Orsi (targato Lega) all’origine dell’effetto domino: prima l’annuncio della chiusura del cantiere di Castellammare di Stabia, poi l’idea di cedere l’Ansaldo che pure in tempo di crisi cresce del 3%, infine l’annuncio dello spostamento della sede principale dell’Alenia da Pomigliano a Varese, nella piccola Aermacchi, dove siede come dirigente la signora Maroni, con conseguente chiusura del sito di Casoria. Il motivo dell’operazione lo spiega Lucia Annunzita: «La Lega baratta il sostegno a Berlusconi con l’indipendenza economica del nord, come dimostra il braccio di ferro su Banca d’Italia». Nel vuoto lasciato a sinistra dalla politica, argomenta Revelli, si prova a «cambiare natura al lavoro, eliminati diritti e norme diventa lavoro servile». Pesa la lettera inviata all’Italia dalla Bce: «Come dare arsenico a un malato – conclude Revelli – in un paese dove il 10% del Pil si è spostato dal lavoro al profitto, senza generare investimenti».
E allora si torna alla rivoluzione Marchionne con la contrattazione tutta spostata in azienda: «Le deroghe al contratto nazionale – spiega Bavaro – in Italia esistono già da oltre 20 anni e non hanno portato nessuno sviluppo, più di 400 contratti settoriali non hanno generato né crescita né ricchezza. La clausola della pace sindacale, poi, renderà esigibili gli accordi e, contemporaneamente, impossibile la conflittualità in azienda». «In un paese dove la criminalità ha enormi capitali cosa succederà se ogni impresa si farà il suo personale diritto del lavoro? – chiede Antonio Di Luca, operaio Fiom di Pomigliano – Con i diritti si tengono aperte le fabbriche, le scuole, il welfare».
Nel mezzo, un mare di storie come quella di Rosario, che ha vinto due cause ma non riesce a tornare in Fiat e ad avere gli stipendi arretrati perché l’azienda prosciuga i conti. Poi ci sono gli operai dell’ex Vico, chiamati dal direttore a gruppetti per fare una gita tra le linee dove si produrrà la Panda, obbligati a portare le famiglie perché possano ascoltare il discorsetto “ci sarà posto per te se rinunci alla tessera dei sindacati scomodi”. A Melfi Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli non sono stati reintegrati, i loro compagni producono lo stesso volume di vetture di prima ma in soli tre giorni, un ritmo che produrrà invalidi. Dalla Cgil campana, che annuncia lo sciopero regionale, alla Fiom locale e nazionale, sarà un autunno di lotta, come spiega Airaudo: «Nessun partito creda di andare al voto senza aver spiegato cosa pensa dell’articolo 8, della precarietà , delle ricette della Bce».
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CGIL Rinaldini: esposto contro Camusso per il 28 giugno
Nella giornata in cui Susanna Camusso deve incassare da Confindustria una lettura dell’«accordo del 28 giugno» diametralmente opposta a quella con cui aveva giustificato la sua firma sotto quel testo, dall’interno della Cgil arriva una seconda tegola. Che mette in discussione la legittimità di quella decisione, presa in solitudine quasi assoluta e solo dopo avallata con molti mugugni dal Direttivo Nazionale. Gianni Rinaldini – coordinatore dell’area «La Cgil che vogliamo» – ha presentato ieri un esposto al presidente del Collegio Statutario della Cgil, denunciando che «con la firma dell’accordo del 28 giugno e dell’intesa applicativa, la Segreteria della Cgil ha operato senza la legittimazione prevista dallo Statuto della Confederazione». Rinaldini ricorda che «l’art. 6 stabilisce che ..”in assenza del mandato di tutti i lavoratori, le lavoratrici, i pensionati interessati, è vincolante il pronunciamento degli iscritti”». Una norma che «impedisce che il pronunciamento degli iscritti possa essere sostituito da qualunque altro tipo di mandato, compreso quello del Direttivo nazionale, e stabilisce che il mandato degli iscritti è la conditio sine qua non per la sottoscrizione di un accordo». Condizioni stavolta non rispettate. Quindi Rinaldini ha chiesto il «pronunciamento del Presidente del Collegio Statutario, organo di garanzia e interpretazione statutaria, nonché di controllo su procedure e atti di organismi e strutture della Cgil».
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