Landgrab in Tanzania

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Secondo l’intesa, gli investitori americani pagheranno 200 scellini tanzaniani, pari a 2 dollari Usa, per ettaro per anno: un prezzo stracciato, anche se vi sono stati aggiunti 5 dollari annui per ettaro di tasse per l’ente locale. Già  questo ha suscitato polemiche: solo pochi giorni fa un «Forum degli investitori della zona del Tanganika» solennemente inaugurato dal presidente Jakaya Kikwete è stato la scena di numerose polemiche, con economisti, accademici e politici locali che accusavano le autorità  di non dare il giusto valore alla terra. Anche perché la tariffa di 200 scellini per ettaro è quella fissata da una vecchia legge pensata per favorire la redistribuzione ai piccoli coltivatori locali, quelli che invece ora perdono il diritto a ciò che hanno finora coltivato.
Ma c’è di più. La terra in questione è abitata da un’ampia popolazione. In particolare, i centri di Katumba e Mishamo sono abitati da circa 40 anni d’anni da rifugiati burundesi, a cui nel 2009 è stata garantita la cittadinanza tanzaniana: ora, poiché AgriSol prevede di basare le sue attività , le autorità  hanno deciso di evacuarli e risistemarli altrove. In altre parole, diverse generazioni di profughi che sono riuscire con il tempo a ricostruire le proprie vite sviluppando e coltivando quella terra, ora dovranno andarsene contro la propria volontà . Perderanno la loro fonte di sopravvivenza, e la propria vita sociale – a favore di una grande impresa di agrobusiness.
Il Memorandum d’intesa parla di una concessione per 99 anni, e l’impresa ha già  cominciato i sopralluoghi e le analisi dei terreni per avviare le sue attività . Il governo tanzaniano e AgriSol pubblicizzano questa concessione di terre come un progetto per trasformare la Tanzania in una «potenza agricola regionale», combinando le abbondanti risorse agricole e naturali della zona con pratiche agricole «moderne», inclusa l’introduzione di colture geneticamente modificate. E questo, come vuole la vulgata, porterà  benefici all’agricoltira locale, sviluppo e benessere… Di sicuro AgriSol produrrà  buoni profitti per se stessa – l’azienda sta anche brigando per ottenere dal governo tanzaniano lo status di «investitore strategico», che gli garantirà  esenzioni fiscali sui guadagni generati e altri benefici (tra cui l’esenzione dalle imposte per macchinari agricoli e industriali, sui prodotti esportati, sull’agrocarburante prodotto, e così via). Buoni profitti per l’investitore, ma poco o nulla per i cittadini tanzaniani.
Il progetto AgriSol in Tanzania ha suscitato critiche e proteste sia in Tanzania che negli Stati uniti. La rete internazionale International Forum on Globalisation giorni fa ha diffuso un appello a moobilitarsi: «Nonostante le critiche, il governo della Tanzania sembra deciso a procedere con il progetto», fa notare: e questo vorrà  dire un esodo di 160mila persone, che saranno sbattute chissà  dove. «Temiamo che il progetto vada avanti in tempi rapidi, a meno che il governo tanzaniano e gli investuitori statunitensi capiscano che il mondo li guarda» dice l’appello, che chiede di mandare lettere e messaggi a Bruce Rastetter, a AgriSol e al governo della Tanzania
(http://media.oaklandinstitute.org/act-now-stop-imminent-land-grab-threatens-more-162000-people-tanzania).


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