Lampedusa, nel cimitero dei senza nome

by Sergio Segio | 17 Ottobre 2011 15:02

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IL VIAGGIO – Ad aprile di tre anni fa è salita sopra uno di quei barconi azzurri che a Lampedusa trovi accatastati proprio dietro al porto. Poi, la sua storia la possiamo solo immaginare in una tragica traversata in mezzo al mare. Eppure, nella tragedia, Esath, conserva la dignità  di un nome e un cognome, di una colomba con un ramoscello di pace nel becco disegnata sulla sua lapide, di un vaso che accoglie un fiore. Dei tanti cadaveri di migranti sepolti nel cimitero di Lampedusa, lei e un uomo, Achile Ezebel, sono gli unici ad avere un’identità . Gli altri sono numeri e date: extracomunitario numero uno; tre cadaveri, 8 maggio 2011. Altre volte sono lettere: F/2000, A/2008, B/2008, C/2009… Gli anni sembrano scorrere su queste tombe improvvisate, raccontando un’isola che da sempre è terra di migrazione e da sempre raccoglie vita e morte di chi ha preso il mare per salvarsi. Passeggiando in quel lembo di terra che sta sopra un collinetta e guarda verso il mare, ci si imbatte nelle scritte di vernice blu accanto alle tombe dei lampedusani.

LE PROMESSE DEL SINDACO – Il sindaco Bernardino De Rubeis ha promesso di costruire un apposito spazio per gli immigrati senza nome che muoiono cercando di raggiungere l’isola. «Abbiamo avuto un finanziamento di 67mila euro per la riqualificazione del cimitero – ha spiegato a maggio – quindi abbiamo pensato di creare un’apposita area per i migranti anonimi che meritano una degna sepoltura». Ma ancora quei numeri aspettano la lapide «per ricordare il loro sacrificio in nome della libertà », come ha detto il sindaco. L’ultima cerimonia funebre il 13 maggio di quest’anno. Cinque giorni prima, un barcone rimane incagliato davanti all’isola. Pescatori e guardia costiera riescono a salvare la maggior parte delle persone a bordo, ma non tre ragazzi. I loro corpi affiorano dal mare poche ore dopo. Due sono morti annegati, il terzo ha dei segni di violenza. I lampedusani ne restano scossi perché fino all’ultimo avevano creduto di essere riusciti a salvare tutti i componenti della barca. Al funerale partecipano una cinquantina di persone tra istituzioni, isolani, associazioni e forze dell’ordine.

L’OMELIA – Padre Stefano fa una lunga, bella omelia. Poi le tre casse di legno vengono benedette e seppellite. Il primo agosto i corpi di 25 migranti, morti nella stiva di un barcone salpato dalla Libia, arrivano a Lampedusa: sei salme vengono accolte nella «zona dei senza nome» grazie alla disponibilità  del sindaco. Qualche giorno dopo viene costruita una cappella per ospitarli, ma nel cimitero non c’è più posto; così la cappella promessa dal sindaco sorge proprio dove erano stati sepolti i tre immigrati del naufragio dell’8 maggio: ora in quel posto la vernice blu indica sei numeri e una data diversa, quella del primo agosto. Dove sono finiti i tre corpi seppelliti con tanto di cerimonia pubblica a maggio? «Quando sono andato al cimitero ad agosto – racconta un operatore sanitario – lo spazio dove erano stati seppelliti i primi tre morti non c’era più: al suo posto ho trovato una cappella e sei salme identificate da alcuni numeri. Ma le altre tre?». Nei giorni successivi, sul basamento della cappella compare un’altra scritta con la vernice azzurra: «Numero 3 cadaveri, 8 maggio 2011». Il capogruppo del Pd nel Consiglio comunale di Lampedusa, Giuseppe Palmeri, ha scritto un’interrogazione al sindaco chiedendo spiegazioni. Il sindaco non ha mai risposto, così come non ha risposto alle nostre telefonate nei giorni scorsi. Su Famiglia Cristiana, a giugno, è stata pubblicata una lettera che chiede al premier Silvio Berlusconi di occuparsi proprio di questa realtà  di nessuno: «Vada a trovarli presidente quei morti – si legge nella lettera – non hanno un nome e riposano nella nostra terra di frontiera, accarezzati dalla pietà  e dalla misericordia. Forse ci vorrebbe un cimitero solo per loro. Tuttavia potrebbe essere sufficiente sistemare almeno un poco quell’angolo che già  c’è».

IL TENTATIVO – A settembre qualcuno ci ha provato, ma il sindaco ha risposto che ci avrebbe pensato lui. L’associazione locale Askavusa ha chiesto di conoscere – quando noti – i nomi e le date di morte dei migranti sepolti nel locale cimitero, per curare le tombe e apporvi dei segni identificativi. Un modo per restituire ad ogni Esath la propria dignità  di essere umano. La risposta dell’amministrazione è stata la diffida a compiere qualunque intervento sulle sepolture.

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