L’Italia con le tasse più alte di Eurolandia caro-manovra: il 45% del reddito va al fisco

by Sergio Segio | 1 Ottobre 2011 6:50

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ROMA – La caccia disperata alle risorse per far fronte alla frana dei conti pubblici e al contenimento del debito, rischia di far passare in secondo piano la questione fiscale. Ed in invece l’Italia sta per salire in testa alla classifica degli Stati che spremono più soldi dalle tasche dei contribuenti. Soprattutto dopo la manovra d’agosto. Un fenomeno più grave di quanto rivelino i documenti ufficiali.
Andiamo per ordine. La pressione fiscale, secondo i dati della «nota di aggiornamento» al Def (Documento di economia e finanza) pubblicato il 22 settembre scorso, salirà  in modo rilevante. Lo ammette anche il governo tant’è che le stime ufficiali parlano di un incremento di circa 1 punto percentuale dal 2010, quando la pressione si collocava al 42,6 del Pil al 2014 quando arriverà  al 43,7 per cento. Un balzo notevole, soprattutto se si pensa alle parole d’ordine del centrodestra berlusconiano che ha affrontato campagne elettorali vincenti brandendo lo slogan liberista «meno tasse per tutti» e ha speso 2 miliardi per eliminare l’Ici dalla prima casa.
Ma i dati ufficiali, come dimostra uno studio della Confesercenti, non dicono tutta la verità : in realtà  la pressione fiscale già  nel 2013 raggiungerà , con un salto di 2,2 punti, il record storico del 44,8 per cento, stracciando ampiamente il «primato» segnato durante la rincorsa all’euro di Prodi nel 1997 (quando si toccò quota 43,3 per cento). E collocandosi in vetta all’Europa, consolidando con tutta probabilità  il sorpasso della Francia già  effettuato tre anni fa.
Nella «nota di aggiornamento» non viene infatti considerata l’applicazione della «clausola di salvaguardia» cui è affidato il compito di portare a casa, a regime nel 2014, un totale di 20 miliardi grazie al taglio e al riordino della giungla delle agevolazioni fiscali. Meno detrazioni e deduzioni e dunque più tasse: a partire, ad esempio, dal ritorno dell’Irpef sulla prima casa. Il paradosso sta nel fatto – come argomenta lo studio – che i 20 miliardi sono stati calcolati ai fini del raggiungimento dei saldi di finanza pubblica e del cosiddetto «pareggio di bilancio», ma non per l’effetto che avranno sull’aumento della pressione fiscale.
Lo tsunami delle tasse – il cui vento già  si è fatto sentire con una serie di imposte «federali», dalle imposte di soggiorno, all’aumento delle addizionali comunali, a quello dei balzelli provinciali sulla Rc auto e sui passaggi di proprietà  – soffierà  ancora più forte dopo le manovre d’agosto. Il 60 per cento dell’intervento, da circa 60 miliardi, è infatti costituito da entrate. Nell’elenco: l’aumento dell’Iva, dell’Irap per banche e assicurazioni, dell’Ires per l’energia, rendite finanziarie, contributo di solidarietà  e tassa sui depositi dei titoli di Stato.
A conti fatti l’Italia rischia la maglia nera in Europa: nei primi dieci anni del nuovo millennio il nostro paese è stato uno dei pochi che ha visto crescere la tassazione (quasi due punti di Pil) in un contesto in cui gli altri hanno ridotto le imposte (4 punti in meno in Svezia, oltre 2 in Francia e Spagna e 2 in Germania). Oggi rischiamo di peggiorare la situazione.
«I dati testimoniano – spiega Marco Venturi, presidente della Confesercenti – che la pressione fiscale diventerà  sempre più insopportabile se non ci saranno correzioni di rotta rapide. Agire ancora sulla spesa fiscale sarebbe un vero boomerang, bisogna tagliare le spese, soprattutto quelle improduttive».

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