L’ira degli Usa contro Teheran “Nessuna reazione è esclusa”
NEW YORK – Allerta mondiale per gli americani all’estero, su di loro c’è il rischio di «attività terroristiche» dirette da Teheran. I rapporti già tesi fra Stati Uniti e Iran precipitano verso una nuova crisi, Barack Obama riunisce i responsabili della sicurezza nazionale incluso Leon Panetta, segretario alla Difesa. «Nessuna reazione è esclusa», dice la Casa Bianca e lancia un’offensiva a tutto campo verso la comunità internazionale per una condanna dell’Iran, possibilmente assortita da nuove sanzioni Onu.
E’ la reazione del giorno dopo, alle rivelazioni sullo sventato attacco a Washington: una storia incredibile, densa di interrogativi irrisolti. Due agenti iraniani pronti a pagare 1,5 milioni di dollari ai narcos messicani, per l’assassinio dell’ambasciatore saudita a Washington e un attentato all’esplosivo contro la sede diplomatica. Un complotto sventato dall’Fbi, che Obama aveva subito definito «una violazione flagrante della legalità internazionale». Ieri il suo vice Joe Biden ha rincarato la dose: «L’Iran ha superato ogni limite, è decisivo che il mondo si unisca per isolarlo». Hillary Clinton ha chiesto che il regime di Teheran sia «tenuto a rispondere delle sue responsabilità per un atto sciagurato». Il segretario di Stato ha chiamato «tutte le nazioni a condannare questa minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale». La rappresentante Usa alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha avviato un giro di consultazioni il cui obiettivo finale è di riuscire a varare sanzioni più severe di quelle già in vigore. Anche dall’Arabia Saudita è giunta la richiesta che l’Iran «paghi il prezzo» per questo complotto.
In Europa i primi ad esprimere sostegno agli Stati Uniti sono stati Gran Bretagna e Francia, con accenni alla disponibilità per nuove sanzioni in seno al Consiglio di sicurezza Onu. Da Teheran oltre alle smentite sono giunte delle reazioni di scherno: «E’ un trucco per dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica americana dalle proteste contro Wall Street, il capitalismo Usa sta crollando». Così ha detto l’ayatollah Ali Khamenei in persona: il leader massimo secondo alcuni esperti americani «non poteva non sapere» dei preparativi per l’attentato, mentre gli stessi servizi Usa non escludono che il presidente Ahmadinejad possa essere rimasto all’oscuro.
Anche negli Stati Uniti non sono mancate reazioni di stupore, incredulità e perfino scetticismo di fronte alla versione data martedì dal segretario alla Giustizia Eric Holder. Due i protagonisti dell’operazione battezzata in codice “Chevrolet”. Manssor Arbabsiar, 56enne di origine iraniana ma naturalizzato americano, è l’unico a essere finito nella rete dell’Fbi. Viveva in Texas, per affari viaggiava spesso in Messico. E’ là che insieme al suo complice Gholam Shakuri (sfuggito alla cattura, probabilmente già tornato in Iran) avrebbe contattato i narcos per un “contratto” speciale, che prevedeva l’attacco terroristico all’ambasciata saudita di Washington. Fbi e Dipartimento di Giustizia non hanno dubbi: i due lavorano per la Forza Quds, una divisione speciale dei Guardiani della rivoluzione iraniani. Avrebbero portato fino in fondo il progetto, se non fossero stati traditi dai presunti narcos, in realtà informatori della Drug Enforcement Agency. Tra i dubbi su questa versione il primo riguarda l’ingenuità : come pensare che i narcos messicani siano così spericolati da lanciarsi nel terrorismo per conto terzi, così diverso dal loro “business” tradizionale? E quale vantaggio politico avrebbe ricavato l’Iran dall’uccisione del diplomatico saudita? Un’ipotesi è quella che gli iraniani pensassero di poter davvero nascondere il loro ruolo, nel qual caso l’attentato avrebbe messo a dura prova l’alleanza fra Stati Uniti e Arabia Saudita. Robert Bauer, ex responsabile Cia in Medio Oriente, è «colpito dal dilettantismo», ma non esclude che «ci siano fratture a Teheran, con gruppi incontrollati che vogliono creare agitazione». La destra Usa rilanciato l’allarme sui piani nucleari dell’Iran, critica Obama per non avere ridotto il pericolo, e nei suoi ranghi parte la richiesta di un’azione militare.
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