L’immagine dell’Italia nella tempesta della crisi
In un primo tempo era sotto accusa soprattutto la Germania, i cui ritardi e tentennamenti sono costati effettivamente molto cari all’Europa e soprattutto alla Grecia, che non può sopravvivere senza un considerevole aiuto europeo. Angela Merkel era di fatto prigioniera del suo alleato, il partito liberale, apertamente anti-europeo; e molte voci si sono levate per sostenere, o quanto meno per comprendere questa posizione tedesca. Perché mai il Paese più potente d’Europa, che ha saputo risollevarsi e rendere fortemente positivo il suo commercio estero (soprattutto a spese della Francia), che non ha delocalizzato le sue attività ad alto livello tecnologico, utilizzando in pieno le possibilità offerte alle sue industrie dalla crescita dei Brics (i nuovi Paesi emergenti), dovrebbe farsi carico del debito dei “Paesi del Club Mediterraneo”, tanto propensi a indebitarsi? È persino riapparsa l’immagine della contrapposizione tra una pigra Europa cattolica e quella protestante, laboriosa e parsimoniosa. Oggi però commenti del genere appaiono superati dagli eventi, che restituiscono la parola al buon senso. Di fatto, la Germania è più legata all’Europa continentale che a qualunque altra parte del mondo, e sarebbe una delle principali vittime di un tracollo dell’Eurozona.
La Francia non ha subito molti attacchi, in quanto più vittima che colpevole. Le banche francesi – in particolare Bnp Paribas, Crédit Agricole e Société Générale – sono le più esposte in Grecia, tanto che qualche burlone in vena di cattivi scherzi è arrivato a prospettare una crisi dell’euro-franco e il tracollo di una delle maggiori banche francesi.
Non vi sono commenti da fare sulla Spagna, schiacciata da una disoccupazione del 21%, che arriva addirittura al 40% per alcune fasce giovanili, vittime non della crisi finanziaria del 2008 ma di quella dei subprime del 2007, in ragione della concentrazione della sua economia sul turismo, e quindi sull’edilizia: una politica che ha dato alla Spagna l’illusione di una crescita accelerata, per sprofondarla nel 2007 in una crisi dalla quale non può uscire a causa della debolezza delle sue banche, che pure si sono arricchite facendo affari in America latina. Obiettivamente, la Spagna è divenuta il maggior pericolo per l’Europa, date le sue dimensioni che rendono impossibile un salvataggio, rivelatosi già estremamente difficile nel caso di un Paese molto più piccolo quale la Grecia.
Lasciando da parte gli stati dell’Europa ex sovietica, i quali (con la sola eccezione della Polonia, che è riuscita infine a riprendersi) dipendono dall’Europa occidentale, la nostra attenzione deve focalizzarsi innanzitutto sull’Italia. E ciò per ragioni obiettive, dato che la sua crescita è praticamente inesistente da dieci anni (l’1% in un decennio) e il suo debito di stato pesantissimo. Ma per quanto si tratti di debolezze gravi, non si può certo dire che l’economia italiana sia allo sbando. Oggi l’Italia è il Paese che più di ogni altro incide sullo stile di vita in Europa e in America, con il suo design, i mobili, la moda, l’alimentazione, e naturalmente grazie al suo formidabile retaggio storico. Ed è il più citato dall’Unesco nel suo catalogo dei tesori dell’umanità . Si parla spesso del Meridione, della mafia e della spazzatura di Napoli, ma non c’è regione europea che superi la Lombardia. Non si tratta qui di sottovalutare le sue pur gravi debolezze, ma di sottolineare che non sono esse a fare dell’Italia la principale minaccia per l’Europa.
Conosciamo, grazie allo scozzese Adam Smith, fondatore della scienza economica nel XVIII secolo, l’importanza decisiva della fiducia nell’economia di mercato. Se oggi l’Italia è costretta a pagare per il suo debito un tasso d’interesse molto più elevato della Germania (spread), è soprattutto perché sia i mercati, sia le istituzioni finanziarie non hanno fiducia in Silvio Berlusconi: sanno che si mantiene al potere ricorrendo a mezzi anomali per ottenere i voti che gli mancano nelle consultazioni importanti; che è in aperto conflitto con la magistratura, la quale dispone di un’indipendenza maggiore di quella dei Paesi vicini, e in particolare della Francia; e che impedisce al presidente Napolitano di prendere decisioni da lui giustamente ritenute necessarie per l’Italia.
Lungi da me l’idea di attribuire a un uomo, per quanto altolocato, le disgrazie di un Paese. Ma il ruolo di Silvio Berlusconi è tanto importante e spettacolare che si è costretti a vedere la sua presenza alla testa dell’Italia come un ostacolo alla ripresa di un Paese la cui immagine è oggi peggiore della sua situazione obiettiva.
L’Italia ha lo stesso peso economico del Regno Unito e della Francia, ed è distanziata dalla Germania solo perché quest’ultima ha una popolazione più numerosa. Gli europei devono avere coscienza dell’importanza economica e politica dell’Italia: e sono ben disposti a riconoscerla, ma alla principale condizione che la sua voce non sia più quella dell’attuale presidente del Consiglio dei ministri.
L’Eurozona e tutta l’Unione europea stanno affrontando pericoli che potrebbero essere mortali. Ciascun Paese, ciascun dirigente o portavoce deve essere cosciente della loro gravità , e delle conseguenze catastrofiche che comporterebbe un tracollo dell’euro.
Questa situazione conferisce una particolare responsabilità a chi parla e decide in nome del proprio Paese. L’opinione pubblica europea ha giustamente rimproverato ad Angela Merkel le sue esitazioni prima di assicurare alla Grecia l’indispensabile sostegno. La popolazione tedesca ha ormai ben compreso l’importanza del ruolo del suo governo. Se è vero che tutti i Paesi devono affrontare con coraggio le loro responsabilità , oggi è l’Italia – in quanto una delle economie più forti – a poter esercitare la maggiore influenza, positiva o negativa, per il semplice fatto del carattere eccezionale della personalità di Silvio Berlusconi.
Tutti gli europei, ma soprattutto quelli che più amano e ammirano l’Italia e vogliono assolutamente darle fiducia, chiedono ai loro fratelli e sorelle italiani di migliorare l’immagine del loro Paese in Europa e nel mondo, ponendo in altre mani le decisioni più vitali, non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa.
Traduzione di Elisabetta Horvat
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