L’addio di Fiat a Confindustria “Ha firmato patto anti-flessibilità ”
TORINO – È ufficiale: la Fiat lascia Confindustria. Dal 1 gennaio 2012 il Lingotto non farà più parte dell’associazione degli industriali italiani che aveva contribuito a fondare un secolo fa. Ed entro fine anno il nipote dell’Avvocato, John Elkann, si dimetterà dalla carica di vicepresidente dell’associazione di viale dell’Astronomia.
Dopo un anno da separati in casa, l’annuncio del divorzio è arrivato ieri mattina quando il Lingotto ha diffuso una lettera scritta venerdì scorso da Sergio Marchionne a Emma Marcegaglia. Il testo apprezza sia l’accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria del giugno scorso sia l’articolo 8 della manovra del governo che garantisce per legge la validità degli accordi approvati dalla maggioranza dei lavoratori anche se contrastano con i contratti nazionali. «Dopo anni di immobilismo – scrive Marchionne a Marcegaglia – negli ultimi mesi sono state prese due importanti decisioni con l’obiettivo di creare le condizioni per il rilancio del sistema economico». Ma quei due provvedimenti non sono sufficienti perché per Fiat la scelta dei sindacati confederali e di Confindustria di precisare, il 21 settembre scorso, che derogheranno ai contratti nazionali solo sulle materie dell’accordo di giugno e non dunque sui licenziamenti senza giusta causa, come invece prevede l’articolo 8 della manovra, «limita fortemente la flessibilità gestionale» della Fiat. Dunque tra tre mesi sarà addio. Una decisione irrevocabile? «Certo, non facciamo entrate e uscite», risponde Marchionne. E a chi gli chiede se nella scelta abbiano pesato gli attacchi degli industriali al governo, l’ad replica: «Il ruolo politico di Confindustria non ci interessa».
La replica di Emma Marcegaglia arriva a metà mattinata. Prima con un comunicato della presidenza dell’associazione poi con le parole che la presidente dice a Bergamo: «Le motivazioni portate dalla Fiat non stanno in piedi. Rispettiamo ma non condividiamo la scelta anche sotto il profilo tecnico giuridico». Il vicepresidente Bombassei, l’uomo che per molto tempo ha tentato una mediazione tra Torino e Roma, è anche più duro: «Spiace per l’uscita da Confindustria del vicepresidente John Elkann, un ragazzo che avrebbe potuto dare un contributo importante. Sfortunatamente lo abbiamo visto poco».
I sindacati contestano la scelta della Fiat: «Ognuno può fare quel che vuole – dice per la Cisl Raffaele Bonanni – ma non si può dire che Fiat se ne va perché l’accordo del 28 giugno è stato depotenziato». Per la Cgil «a Marchionne non va bene nessun accordo, solo la parola accordo lo fa star male».
Nella giornata del divorzio il Lingotto ha voluto confermare una parte del piano Fabbrica Italia che era rimasto in sospeso. A Mirafiori verrà realizzato un suv con marchio Jeep mentre è ancora in forse la produzione del secondo modello di fuoristrada promesso con il marchio dell’Alfa: «Quel che è certo – ha spiegato ieri Marchionne – è che una delle tre architetture su cui si baserà la nostra produzione sarà a Torino». Confermata «più o meno» l’entità dell’investimento, circa un miliardo, mentre sono spostati di un anno i tempi di avvio della produzione, posticipata a fine 2013. Questo significa che ci sarà un anno in più di cassa integrazione. In serata giungono i dati sulle vendite: il mercato italiano è in pesante calo a settembre (- 5,7%) ma la Fiat scende meno (- 4,7%) e risale sopra quota 29%. Un successo dovuto soprattutto alle vendite della Lancia, Ypsilon e Delta.
Related Articles
Tre cene un programma: acqua pubblica, lotta agli inceneritori, università libera
Acquistano, leggono e sostengono il manifesto. Per poi battersi, nella loro vita quotidiana, nelle battaglie politiche e civili approfondite dal loro giornale.
12 grandi aziende nel mondo aderiscono a Climate Saver del WWF
Ma l’Italia è assente. Obiettivo: ridurre le emissioni di CO2 di 10 milioni di tonnellate l’anno entro il 2010.
I campi di Ogm e i papaveri che spariscono