by Sergio Segio | 25 Ottobre 2011 7:10
TRIPOLI – La primavera araba avviata dalla Tunisia avrà i colori dell’Islam: il partito musulmano moderato Ennahda si avvia a vincere le prime elezioni libere dopo la caduta di Zine el Abidine Ben Alì, conquistando secondo le stime un buon 40 per cento dei voti. Era un successo previsto, che i filo-islamici hanno ottenuto con un profilo di moderazione assoluta, in un paese di tradizione laica. Secondo gli exit poll autogestiti dalla radio locale, con il voto di domenica il partito guidato da Rachid Gannouchi dovrebbe contare su una sessantina di seggi, sufficienti per poter decidere su alleanze adeguate fra i 217 eletti della nuova assemblea costituente, che dovrà anche eleggere un presidente e un governo ad interim, fino a un nuovo voto previsto per fine 2012-inizio 2013. Una alleanza che sin d’ora sembra possibile, come confermato dallo stesso partito, è quella con il Congresso per la Repubblica, la formazione di centro sinistra che dovrebbe aver registrato buoni consensi. Male sarebbe invece andata la Coalizione democratico modernista, di sinistra, e inferiori al previsto sarebbero i risultati del Partito progressista democratico, che aveva proclamato la indisponibilità a coalizioni con gli islamici.
I risultati definitivi dovrebbero essere disponibili oggi, ma sin d’ora sembra significativo il dato sull’affluenza: è andato alle urne oltre il 90 per cento degli iscritti a votare, cioè 4,1 milioni di elettori su poco meno di otto milioni aventi diritto. Una quota che testimonia il coinvolgimento avviato con la “rivoluzione dei gelsomini”. Il voto è stato giudicato sostanzialmente corretto anche dagli osservatori internazionali: unico episodio negativo, gli insulti al seggio contro il leader di Ennahda, a cui però lo stesso Gannouchi ha preferito non dare peso.
A confermare il profilo “aperto” del partito, sono i dati dei seggi all’estero: secondo indiscrezioni l’affermazione di Ennahda fra i tunisini della diaspora – emigrati in massima parte verso paesi di tradizioni secolari – avrebbe superato il 50 per cento. La moderazione, che ha dato il tono alla campagna elettorale, e le posizioni di apertura su temi delicati, anche a costo di suscitare la rabbia dei fondamentalisti salafiti, hanno evitato il rischio di tensioni post elettorali pericolose. Nei mesi scorsi, l’ipotesi di una vittoria degli islamici aveva spinto l’ex ministro degli Interni Farhat Rajhi a lanciare l’allarme – poi in parte ritrattato – su un possibile colpo di Stato delle Forze armate, guidate dal generale Rachid Ammar, che non sarebbero state disposte a una svolta di tipo integralista. La scelta laica in un paese musulmano era stata voluta dallo stesso padre fondatore del paese, Habib Bourghiba, che aveva curato di sottolinearne i punti fondamentali nella Costituzione. Uno scenario quasi di tipo algerino, che avrebbe creato un focolaio di repressione inaccettabile per un paese che conta moltissimo sul turismo, a pochi chilometri dall’Europa.
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