La tenda nel cuore della city

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NEW YORK. Gli scettici, gli avversari, pure il sindaco Michael Bloomberg, aspettavano il Generale Autunno sperando che fosse lui a fare piazza pulita. Invece niente. I primi freddi sono arrivati, qualche acquazzone, le foglie cadono a Central Park, ma Occupy Wall Street è più vivo che mai. Ha superato il primo mese di resistenza la protesta accampata a Zuccotti Park, nel cuore della piazza finanziaria più globale che ci sia. Per parare l’offensiva del Generale Autunno si sono mobilitati in molti. Un grazioso “farmers’ market” ha piantato le sue tende a fianco a quelle dei manifestanti: ora i ragazzi hanno frutta e verdura fresca tutti i giorni, roba buona, al 100% “bio” e chilometro zero.
Uno chef dell’hotel Sheraton, abituato a cucinare per ristoranti a tre stelle Michelin, viene a sfornare piatti caldi tutti i giorni, omaggio della casa per i contestatori. In un mese di vita il movimento è cresciuto in tutti i sensi. Ha ormai partorito perfino una vena di creazione poetica: nella sezione Missed Connections (Incontri Mancati) del sito newyork.craigslist.com si possono leggere le poesie d’amore che celebrano le prime coppie unite dalla battaglia contro “l’1% dei profittatori”. Nei momenti di noia (ammesso che ce ne siano) i militanti hanno a disposizione 3.000 libri da leggere, donazioni di simpatizzanti, in gestione alla Libreria del Popolo: ci sono l’opera omnia di Marx ed Engels, tutti i libri di Naomi Wolf e perfino quelli di Milton Friedman (il padre dell’economia neoliberista: bisogna studiare il pensiero nemico), ma il più gettonato di tutti è … un manuale di magìa in francese. Sono cominciate le riprese per il primo documentario dedicato al movimento, titolo provvisorio “99% – The Occupy Wall Street Collaborative Film”, un’opera a cui stanno lavorando 50 giovani registi che hanno già  accumulato 200 ore di filmati. Unico problema, confessa la produttrice Audrey Ewell, “è che non riusciamo ancora a trovare qualcuno tra noi disposto a prendere le parti dell’avversario, a criticare il movimento”. La musica in piazza non manca mai, soprattutto le percussioni afrocubane, però manca per ora un vero e proprio “inno”, una canzone-simbolo come furono quelle di Bob Dylan per la contestazione pacifista negli anni Sessanta, e il critico musicale del New York Times propone di sceglierlo per referendum tra i brani dei Nirvana. Il movimento continua a non avere una leadership riconosciuta eppure ha già  la sua prima rappresentanza parlamentare, almeno in pectoris: Elizabeth Warren, candidata al seggio del Senato nel Massachusetts, è considerata a tutti gli effetti una “pioniera” di questa lotta: da giurista di Harvard fu un’accusatrice autorevole di Wall Street nel 2008, è lei ad avere gettato le basi per l’authority di tutela del piccolo risparmiatore. A confermare la popolarità  mondiale di Occupy Wall Street, le agenzie turistiche ormai hanno inserito Zuccotti Park nei giri organizzati dei torpedoni, alla pari con l’Empire State Building e Times Square. I manifestanti hanno dovuto mettere dei cartelli “I turisti per favore si fermino qui” per evitare che il via vai dei gruppi, insieme con quello delle troupe televisive, finisse per invadere la privacy di chi dorme in sacco a pelo sotto le tende. La ciliegina sulla torta è la notizia che Mtv lancerà  presto un “reality show” su questa protesta: “True Life: I’m Occupying Wall Street” seguirà  minuto per minuto la vita di alcuni manifestanti. Forse si comincia a esagerare? L’editorialista Frank Bruni sul New York Times dà  voce alla prima insofferenza verso il consenso corale “politically correct”: osserva che tra le star dello spettacolo venute a omaggiare Occupy Wall Street ci sono oltre ai militanti di sempre come Michael Moore e Susan Sarandon anche il magnate della musica rap Russell Simmons che da solo “vale” 340 milioni di dollari; l’attore Alec Baldwin che ha dimore sontuose a Manhattan e sulla spiaggia degli Hamptons; nonché musicisti come Mariah Carey, Nelly Furtado e Beyoncé che non esitarono a cantare a pagamento per la famiglia Gheddafi. Insomma un bel campionario di quell’1% di super-privilegiati contro i quali è nata la protesta.
È facile fare dell’ironia, eppure la destra repubblicana ha capito che questo movimento è pericoloso per lei. Dopo averlo bollato come un rigurgito di “lotta di classe, odio contro chi produce ricchezza, invidia sociale”, da qualche giorno i toni dei repubblicani si sono fatti più cauti. È successo dopo che due sondaggi importanti – del Wall Street Journal e del Washington Post – hanno rivelato che i due terzi degli americani simpatizzano con Occupy Wall Street in quanto ne condividono lo slogan principale: “Tax the Rich”, tassiamo i ricchi. In un paese che venera i miliardari creativi alla Steve Jobs e Bill Gates, si scopre che i due terzi dell’opinione pubblica sono indignati contro la vera plutocrazia, quella della finanza parassitaria. E la sinistra americana torna a sognare: era dagli anni Sessanta che non vedeva nascere un movimento di base animato da ideali di equità  sociale.


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