La grande rotazione degli stranieri “vuoti a perdere”
ROMA – Si fermano sulla soglia dei 5 milioni gli immigrati in Italia: erano 4 milioni e 919 mila all’inizio del 2010, sono 4.968.000 all’inizio del 2011. A fotografare quanti sono, ma anche chi sono e qual è il loro apporto all’Italia, è il Dossier Immigrazione Caritas/Migrantes, presentato oggi a Roma, giunto alla ventunesima edizione.
La grande rotazione. Può sorprendere – spiega il rapporto – che il numero degli immigrati regolari sia quasi uguale a quello dello scorso anno (4 milioni e 919 mila), ma non deve sfuggire che nonostante la crisi l’aumento è stato di 335.258 unità nel 2010. Se si tiene conto di circa 400 mila persone, regolarmente presenti ma non ancora registrate in anagrafe, si tratta di quasi 5 milioni di persone, come lo scorso anno. Nel frattempo, però, centinaia di migliaia di persone hanno perso l’autorizzazione a rimanere in Italia, perché sono scaduti ben 684.413 permessi di soggiorno (2/3 per lavoro e 1/3 per famiglia), costringendo gli interessati al rimpatrio o al rifugio nel lavoro nero e sollevando la necessità di disposizioni in grado di temperare questa enorme rotazione.
“A prima vista – spiega il coordinatore del Dossier Franco Pittau – sembra che niente sia cambiato. In realtà si è determinato una notevole rotazione, che ha coinvolto 600 mila persone, che, pur venute per insediarsi in Italia, hanno perso il permesso di soggiorno e sono stati costretti o ad andar via o a mimetizzarsi tra le pieghe del lavoro nero: 398.136 permessi rilasciati per lavoro subordinato, 49.633 per lavoro autonomo, 220.622 per motivi di famiglia e 16.022 in attesa di occupazione. Dei 2.637.431 permessi, che erano in vigore al 31 dicembre 2009, a distanza di un anno un quarto è venuto meno”. Per capire il fenomeno, Pittau fa riferimento “ai primi decenni del dopoguerra, ai tempi della nostra grande emigrazione in Germania, quando si recarono in quel paese oltre 4 milioni di connazionali, mentre a fermarsi sul posto furono solo mezzo milione, appena 1 su 8. In Italia, però, la rotazione è stata più accentuata e per più di un quinto dei soggiornanti è scaduta l’autorizzazione al soggiorno. Non è difficile immaginare che gli interessati, a causa del rigido termine di 6 mesi stabilito per la ricerca di un nuovo posto di lavoro, potranno sentirsi dei vuoti a perdere. Inesorabilmente”.
Immigrati e crisi. Sul fronte del lavoro nel 2010 si è fatta sentire la crisi: gli immigrati sono arrivati a incidere per un quinto sui disoccupati. E per la prima volta è diminuito il volume delle rimesse inviate nei paesi d’origine: -2,6%. Ma dall’altra non si è fermata la loro capacità imprenditoriale: 20 mila aziende in più nel 2010, il totale è 228.540. Gli occupati sono 2 milioni.
Insediamento stabile. Al di là della crisi, il rapporto dà anche molti indicatori di un insediamento sempre più stabile e diffuso. Tra il 1996 e il 2009 sono stati 257.762 i matrimoni misti (21.357 nell’ultimo anno, 1 ogni 10 celebrati). Nel 2010 i casi di cittadinanza sono stati 66 mila. I minori figli di immigrati sono quasi 1 milione, ai quali si aggiungono si aggiungono 5.806 minori non accompagnati (senza contare i comunitari). Le seconde generazioni superano quota 600 mila grazie ai quasi 80 mila figli di entrambi i genitori stranieri nati nel corso del 2010 (+1,3%). Aumentano anche gli iscritti a scuola: nell’anno scolastico 2010-2011 sono 709.826 iscritti (incidenza del 7,9% sulla popolazione studentesca, e ancora più alta nelle materne e nelle elementari). Tra loro 4 su 10 sono nati in Italia. Il positivo inserimento non fa rima però con integrazione: il razzismo è infatti una delle più grandi paure degli immigrati. Paura suffragata dai dati dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che nel 2010 ha registrato 766 segnalazioni, delle quali 540 sono state ritenute pertinenti.
Il notevole aiuto all’Italia. Anche quest’anno il Dossier sottolinea l’importanza dell’aiuto degli stranieri all’Italia, nonostante nel paese lo sviluppo vada a rilento e siano state perse centinaia di migliaia di posti di lavoro. La popolazione immigrata è più giovane (32 anni, 12 in meno degli italiani), incide positivamente sull’equilibrio demografico con le nuove nascite (circa un sesto del totale) e sulle nuove forze lavorative, è lontana dal pensionamento e versa annualmente oltre 7 miliardi di contributi previdenziali, assicura una maggiore flessibilità territoriale e anche la disponibilità a inserirsi in tutti i settori lavorativi, si occupa dell’assistenza delle famiglie, degli anziani e dei malati.
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