by Sergio Segio | 28 Ottobre 2011 7:09
Dunque gli abitanti della capitale thailandese sono in fuga. Migliaia di persone, colonne di auto, camion, furgoni, ogni possibile veicolo. Decine di barchette e zattere improvvisate – perché ormai numerose zone della capitale sono già allagate, in una anticipazione di ciò che sta per arrivare. E dire che fino a due giorni fa le autorità ripetevano che Bangkok, o almeno la sua parte centrale, sarebbe stata risparmiata dalla furia dell’acqua grazie alle barriere di sacchi di sabbia costruire in fretta e furia da centinaia di soldati e di volontari – o alla decisione strategica di lasciar straripare il fiume in alcuni punti a monte per deviare il flusso.
Solo martedì la giovane primo ministro Yingluck Shinawatra – la prima donna capo del governo in Thailandia – ha parlato dagli schermi tv per dire che no, neppure Bangkok è al riparo, neppure il centro, è probabile che l’acqua travolga quelle barriere. Insediata da appena due mesi, in perenne corsa per dimostrare di non essere stata eletta solo in virtù del facoltoso e potente fratello – l’ex premier Thaksin Shinawatra – ora Yingluck è alle prese con la sua prima crisi: una vera e propria emergenza nazionale, un terzo del paese alluvionato e una capitale prossima a essere travolta. Ed è già al centro di molte critiche per aver tardato tanto a prendere sul serio l’alluvione che dura ormai da settimane: da luglio sulla Thailandia si sono abbattute piogge monsoniche di intensità eccezionale, che hanno gonfiato i fiumi in ondate di piena che hanno sommerso campi, villaggi, intere città . Il bilancio umano è già di oltre 360 morti. I giornali parlano di famiglie intere accampate da settimane su terrapieni o rare colline, o sui tetti delle loro case, dove si arrangiano con gli aiuti di associazioni caritatevoli o organizzazioni internazionali. Dicono che le misure di igiene pubblica sono inesistenti, raccontano di serpenti in agguato, e di coccodrilli usciti dagli allevamenti. Ma il governo ha pensato che bastasse mandare l’esercito a costruire terrapieni di sacchi di sabbia, magari allagare alcune zone rurali per salvarne altre (urbane): solo che neppure questo ha impedito che interi distretti industriali fossero sommersi. Ora le ondate di piena stanno per raggiungere Bangkok, dove il massimo della piena è previsto per il fine settimana. E qui la situazione è peggiorata dall’alta marea stagionale: l’alluvione potrebbe durare tra 2 settimane e un mese prima di defluire.
«È una crisi, perché se tentiamo di resistere a questa massiccia quantità d’acqua, una forza della natura, non potremo vincere», ha detto la premier. Crisi, ha detto Yungluck Shinawatra. Ma ancora rifiuta di dichiarare lo stato d’emergenza: il governo ha semplicemente annunciato cinque giorni di ferie, in tutte le zone alluvionate, perché gli abitanti possano mettersi in salvo. A Bangkok non se lo sono fatti ripetere: chi può fugge, chi è costretto a restare ha fatto scorte di cibo e acqua. Mentre i giornali cominciano a discutere di cosa ha trasformato la «forza della natura» in una catastrofe: impreparazione, e ancor prima decenni di deforestazione, colate di cemento a soffocare le sponde dei fiumi, manomissioni del territorio e dei fiumi… Ma intanto la piena avanza, inesorabile: immagini aeree o satellitari mostrano un mare che stringe ogni giorno di più l’assedio attorno alla capitale, e finirà per sommergerla.
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