l prof, il broker, la disoccupata ecco i ribelli anti-Wall Street “E adesso Obama deve sentirci”

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NEW YORK – «Wall Street è Nerone… E Roma sta bruciando!». All’ingresso di Liberty Plaza gli indignati d’America scolpiscono la loro verità  sui cartoni della pizza. Di qua c’è Wall Street. Dall’altra Ground Zero che sta rialzando al cielo torri di vetro e cemento. In mezzo ci sono loro: sbucati dal nulla solo per chi non ha occhi per leggere i numeri della disoccupazione (9,1 per cento) e dell’ingordigia delle corporations (sedute su 2mila miliardi di cash che non investono). Quanti sono? Lo slogan – coniato dalla rivista alternativa Adbusters – è “Occupy Wall Street”. Ma sabato sera la polizia ne ha sbattuti 700 in galera per avere occupato anche il ponte di Brooklyn. Dicono: è solo l’inizio. Stamattina – come ogni mattina dal 16 settembre – marceranno su Wall Street: all’apertura dei cambi segnata dalla mitica campanella. E mercoledì arrivano i sindacati per una grande manifestazione.
Sono accampati in questa piazza su materassi e giacigli di fortuna. Tutto in fatiscente miniatura: infermeria, mensa, media center. L’Assemblea generale si riunisce due volte al giorno. Hanno anche un giornale: The Occupied Wall Street Journal. L’editoriale dice: «Impariamo dal resto del mondo». New York come Tahrir Square. Una primavera americana senza leader e tanti simpatizzanti: Michael Moore, Naomi Klein, Noam Chomsky, Suasan Sarandon, i Radiohead. «I giornalisti chiedono: chi è comanda qui? Ma qui comandiamo tutti e nessuno. Così almeno non ci acchiapperanno mai». Tutti al comando: ma ciascuno con una propria voce.
LA MANAGER
«Mi chiamo Jackie Falner e vengo dalla Pennsylvania. Sono una marketing manager: pubblicità  e promozione. Per stare qui ho dovuto prendermi le ferie. Ma vi rendete conto? Io scendevo in piazza per la Palestina e il terzo mondo e alla fine scopro che gli oppressi siamo noi: qui in casa. Quando lo capiremo che o ci salviamo tutti o non si salva nessuno? La politica? Tutti comprati. Eppoi sono stanca dei giochi tra destra e sinistra: qui siamo già  oltre».
LA DISOCCUPATA
«Mi chiamo Nicole Angelo e vengo da Worchester. Sono disoccupata e ho votato per il presidente Barack Obama. Lo rivoterò? Dipende anche da come ne usciremo da qui. L’obiettivo? Portare avanti il discorso. Aiutare gli altri ad aprire gli occhi. Siamo sempre di più: anche se ci hanno arrestati per metà . Settecento: sul ponte di Brooklyn è stata una trappola. La polizia aveva bloccato l’accesso pedonale: un invito a invadere la strada delle auto. Ma non è così che ci fermeranno».
IL CAMERIERE
«Mi chiamo Luke Richardson e vengo dal New Jersey. Facevo il cameriere proprio qui dietro: una steakhouse piena di big di Wall Street. Ne ho sentite tante a quei tavoli. Ma oggi sono qui: per fare sentire la nostra. Sto al media center: una ventina di volontari. Ci bastano una paio di videocamere e poi mandiamo tutto sul web. Così la gente si fa un’idea dal vero. Abbiamo un paio di Twitter e la pagina Facebook. Obama? No, no e no. L’ultima volta è che ho votato è stato ai tempi di Ralph Nader. Cosa voglio? La comunione dei mezzi di produzione. E della terra. Comunista? Meglio: anarco-comunista. Lo so benissimo che non ci arriveremo così e non voglio imporre la mia visione agli altri qui. Però questa è già  la cosa più grande che potevamo realizzare».
IL PROFESSORE COMUNISTA
«Mi chiamo Dennis Laumann e sono un professore. Università  di Memphis: storia africana. Sono qui in veste doppia: manifesto e cerco di capire. Sono un militante del partito comunista e voglio scrivere per il nostro giornale: People’s World. Sorpreso? Troppi disoccupati. Troppa frustrazione. E alla fine la gente ha trovato la forza di dire: fottetevi. L’inizio di qualcosa di nuovo? Lo spero. L’organizzazione spontanea è una meraviglia resa possibile da Internet. Ma politicamente a chi gioverà ? Spero almeno che serva a spingere il piano per il lavoro di Obama. Certo che il partito comunista d’America lo sostiene. E chi se no?».
L’ARTISTA
«Mi chiamo Clark Stoeckley e vengo da Chicago. Faccio l’artista. Ma sono fortunato: ho anche un lavoro fisso. Insegno arte al Bloomfield College, New Jersey. Sì, questo camioncino è mio. La scritta WikiLeaks sulla fiancata? Sono un sostenitore diciamo così non autorizzato. Ho cominciato a fare campagna per la liberazione del soldato Bradley Manning: quello accusato dei cablo. Ho portato questo camioncino anche davanti alla Casa Bianca. Obama? L’ho votato ma probabilmente non lo farò più: troppe promesse e stop. WikiLeaks? Guardatevi intorno: è cominciato tutto da lì. WikiLeaks ha fatto partire la Primavera araba. La Primavera araba ha fatto partire le nostre proteste».
L’EX DI WALL STREET
«Mi chiamo Robert Segal e vengo da Brooklyn. Lavoravo dall’altra parte della strada: Wall Street. Tecnico informatico: i miei numeri aiutavano quella gente a fare sempre più soldi. Poi venne l’11 settembre e quel mio piccolo mondo crollò. Mollai tutto. Per un quarto sono italiano di origine. Ho lavorato nel commercio dei vini. Ma adesso sono qui. Vedete? Questa lavagna l’ho realizzata io: ‘Occupation Status’. Ci ho messo tutta l’esperienza nei display di Wall Street! Ecco: in questa colonna ci mettiamo gli arrestati e qui i rilasciati. Qui i giorni di protesta e qui le città  dove manifestiamo. Obama? La persona giusta nel posto sbagliato. I democratici dicono: 2 più 2 fa 4. I repubblicani dicono: 2 più 2 fa 6. Arriva lui e fa: 2 più 2 fa 5. Ma dai. Il compromesso non porta da nessuna parte. O forse no: ci porta in questa piazza qua».


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