Juppé: «In Libia c’è posto per l’Italia Avete legami e conoscenza del Paese»

by Sergio Segio | 2 Ottobre 2011 6:48

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BORDEAUX — Nel salone del municipio di Bordeaux, Alain Juppé fa gli onori di casa con il ministro italiano Franco Frattini e gli altri 15 invitati al seminario informale del Partito popolare europeo. Juppé è il sindaco della città  atlantica, ma soprattutto il ministro degli Esteri francese e la figura sempre più stimata di un governo in difficoltà  per gli scandali. Molti cominciano a vedere lo schivo e iperpreparato Juppé, 66 anni, un curriculum straordinario nelle scuole dell’élite francese e già  premier oltre 15 anni fa, come un possibile anti Sarkozy della destra, una specie di alternativa di lusso al presidente uscente, qualora i sondaggi continuassero a dare Sarkozy perdente nella corsa all’Eliseo della prossima primavera. Durante la conferenza stampa, e poi a margine del seminario, il ministro francese ha risposto ad alcune domande del Corriere.

Signor ministro, la Francia si è imposta come il Paese guida nella Libia post Gheddafi. E il Consiglio di transizione libico, due giorni fa, ha preferito non firmare il protocollo d’intesa proposto dal ministro Frattini, nella prima visita a Tripoli di un componente del governo italiano dopo la cacciata di Gheddafi. Se l’Italia si sentisse messa da parte non avrebbe qualche ragione?
«Non vedrei le cose in questo modo. La Francia ha preso l’iniziativa dell’intervento, ma l’Italia resta un Paese con forti e storici legami con la Libia, avete una profonda conoscenza del Paese. Credo che anche l’Italia parteciperà  alla ricostruzione della Libia, c’è posto per tutti. Ogni Paese avrà  la possibilità  di dare il suo contributo».

Come giudica la situazione della Grecia e degli altri Paesi più colpiti dalla crisi, Italia compresa?
«Per la costruzione europea e per tutti noi, per i Paesi coinvolti direttamente ma anche per la Francia e la Germania, dobbiamo darci i mezzi per resistere alla speculazione e portare conforto ai Paesi più fragili».

In che modo?
«Gli strumenti ormai ce li abbiamo, a partire dal pacchetto di misure approvato il 21 luglio. Si tratta di applicarlo, senza però fermarsi a quello. Francia e Germania stanno studiando altri provvedimenti (per esempio l’armonizzazione fiscale, ndr), la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy si vedranno ancora nei prossimi giorni, e la Commissione sta lavorando. Certo, noi dobbiamo aiutare la Grecia ma anche la Grecia deve aiutarsi da sola. Non possiamo che andare avanti».

Lei auspica una maggiore integrazione europea?
«Non possiamo neanche immaginare di lasciare cadere la Grecia e magari gli altri Paesi. La fine dell’euro sarebbe una catastrofe che il mondo non si può permettere, in prospettiva dobbiamo lavorare per una Federazione europea che riesca a governare meglio i problemi economici e non solo quelli. Oggi il processo decisionale europeo è troppo lento, parte della crisi deriva da questo problema».

Una lettera come quella inviata dalla Bce al governo italiano e agli altri Stati in difficoltà  è un primo embrione di abbandono definitivo della sovranità ? La Francia lo avrebbe accettato?
«Su questo tema preferisco non esprimermi».

In politica estera, da molti mesi la Francia è protagonista. La risoluzione 1973 dell’Onu, che ha consentito l’intervento in Libia, è stata giudicata come il suo capolavoro diplomatico perché è riuscita a vincere le resistenze di Russia e Cina. Come mai la risoluzione sulla Siria invece è ancora ferma?
«Ci sono molte ragioni. Siria e Libia sono due Paesi molto diversi in situazioni geopolitiche differenti. Poi, la risoluzione 1973 sulla Libia venne presentata da Francia, Gran Bretagna e Libano: la mobilitazione di un Paese mediorientale, e il sostegno della Lega araba, furono fattori straordinari e fondamentali».

Assieme all’astensione della Russia, che oggi invece sulla Siria è irremovibile.
«È vero, al Palazzo di Vetro sulla Siria non c’è alcun progresso, purtroppo. Abbiamo dato prova di grande, come dire, buona volontà  accettando un testo che si limita a minacciare sanzioni, e questo nella speranza di trovare il via libera della Russia. Purtroppo neanche questo è stato abbastanza, e non riusciamo a convincere il partner russo che non si può tollerare una situazione simile. È inaccettabile che la Russia metta sullo stesso piano il regime e i manifestanti. La gente vuole democrazia, e se in casi sporadici ha fatto ricorso alla violenza è stato solo per difendersi. Comunque, con il ministro Frattini concordiamo sul fatto che dobbiamo lavorare su due fronti: innanzitutto, ribadire la nostra condanna del regime di Damasco. Poi, sostenere l’opposizione che all’inizio era spontanea e confusa e ora sta prendendo forma. Li conosciamo meglio, si stanno organizzando, occorre aiutarli».

Dopo la vendita delle navi da guerra Mistral alla Russia, oggi i rapporti tra Parigi e Mosca si stanno raffreddando? È anche per questo che la settimana prossima il presidente Sarkozy incontrerà  a Tbilisi il presidente georgiano Saakashvili, arcinemico del premier russo Putin?
«No, no, la Francia cerca di avere ottimi rapporti con tutti i suoi partner».

Lo stallo all’Onu riguarda anche la questione palestinese.
«C’è una posizione comune degli europei, di cui abbiamo parlato anche oggi con il ministro Frattini, che ha per obiettivo due Stati nazionali per due popoli, lo Stato d’Israele per il popolo ebraico e lo Stato di Palestina per il popolo palestinese, sulla base (come ha proposto il presidente Obama in un recente discorso) dei confini del 1967 modificati secondo nuove intese reciproche. La posizione francese consiste nel prendere atto che probabilmente al Consiglio di sicurezza continuerà  il blocco, e allora vediamo se all’Assemblea generale riusciamo a fare comunque un progresso, riconoscendo lo Stato palestinese come Stato osservatore, in cambio del riconoscimento di Israele come Stato ebraico, del suo diritto alla sicurezza e della promessa di non ricorrere al Tribunale internazionale finché è ancora aperto il processo negoziale».

Intanto gli insediamenti continuano.
«L’Europa sostiene da tempo che sarebbe meglio se si fermassero. Non condivido l’iniziativa israeliana di annunciare 1.100 nuovi alloggi a Gerusalemme Est, che ha dato pretesto o ragione ai palestinesi per rifiutare di tornare al tavolo negoziale. Aggiungerò un commento che impegna forse solo me, per dire che è evidente ormai come l’iniziativa del quartetto per il Medio Oriente(Usa, Ue, Onu, Russia) abbia fallito».

Signor Juppé, lei potrebbe candidarsi all’Eliseo?
«Nicolas Sarkozy è non solo il candidato naturale della destra, ma anche il migliore».

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