Israele, sì ai negoziati di pace

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GERUSALEMME – Fra Israele e palestinesi c’è un documento pieno di ambiguità , quello redatto dal Quartetto in tutta fretta a New York durante l’Assemblea generale dell’Onu. Volutamente generico e volatile invita le parti le parti a tornare al tavolo delle trattative entro un mese, per arrivare a un accordo di pace entro la fine dell’anno prossimo. Dopo dieci giorni di attesa, ieri pomeriggio il governo israeliano ha annunciato di aver accolto questa proposta. «Israele accoglie con favore la richiesta del Quartetto per negoziati diretti senza precondizioni fra Israele e l’Anp», dice un comunicato al termine di un vertice fra il premier Benjamin Netanyahu e gli otto ministri interessati. Nella dichiarazione, però, non si nascondono critiche al piano ma si precisa che queste saranno sollevate durante i colloqui.
Fino a qualche giorno fa la proposta del Quartetto non aveva ottenuto ancora il via libera di tutti membri del governo israeliano tra cui regnavano molte perplessità . La proposta non contiene la richiesta dello stop agli insediamenti e l’avvio delle trattative basate sui confini del 1967 come previsto dalla “Road Map” a cui fa riferimento. E anche il leader palestinese Abu Mazen, proprio per questo, aveva preso subito le distanze dall’iniziativa. Ieri solo un’ora dopo l’annuncio del governo Netanyahu è arrivata la risposta da Ramallah. Se Israele è d’accordo con il Quartetto deve congelare le colonie ha detto Saeb Erekat, capo negoziatore per i palestinesi. Secondo l’Anp, la disponibilità  di Netanyahu a negoziare «senza precondizioni» è priva di significato senza l’impegno israeliano a congelare le colonie e a riconoscere come punto di partenza delle trattative le linee armistiziali in vigore fino al ‘67 fra Israele, Cisgiordania e Gaza.
La decisione del governo israeliano di proseguire nella costruzione di nuove all’interno degli insediamenti nei Territori occupati pesa come un macigno sulle aspettative di pace. I settlements sono il nocciolo del problema: nella Cisgiordania occupata ormai vivono 300 mila coloni in 130 diverse insediamenti. Netanyahu, che ha lì la sua base elettorale, non ha nessuna intenzione di arrivare a uno stop alle nuove colonie; è solo di due giorni fa l’annuncio della costruzione di 1100 nuove case nell’insediamento di Gilo, alle porte di Gerusalemme. Iniziativa criticata aspramente dall’Europa con la cancelliera Merkel in testa – e la Germania è il miglior alleato di Israele nella Ue – più moderatamente dagli Stati Uniti. Ma nonostante le pressioni internazionali e interne Netanyahu è deciso ad andare avanti, consapevole della debolezza di uno dei suoi principali interlocutori: la Casa Bianca. Dimenticato il discorso del 20 maggio scorso sulla validità  delle frontiere del ‘67 come base della trattativa e del congelamento della colonizzazione, il presidente Barack Obama ha cambiato registro. L’agenda del negoziato – a un anno dalle presidenziali americane – la dettano gli israeliani. Il Congresso sta per bloccare 200 milioni di dollari in aiuti all’Anp come “rappresaglia” per la sfida all’Onu di Abu Mazen e il presidente – lo rivela il New York Times – sarebbe intenzionato a concedere la grazia alla spia israeliana Johnatan Pollard, condannato all’ergastolo negli Usa ma giudicato un eroe in Israele, per recuperare simpatie nella influente comunità  ebraica americana viste le sue difficoltà  nella corsa verso un secondo mandato.


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