Info 2.0. È la nuova stampa, bellezza

Loading

La guerra fra giornalisti e blogger è finita. Non è stato firmato nessun trattato di pace, non è stato necessario. È successo questo piuttosto. Intanto, i giornalisti sono scesi dal piedistallo (anche perché Internet il piedistallo lo aveva demolito): a volte bloggano, sempre più spesso stanno sui social media non solo per dare notizie ma per dialogare con i lettori da pari a pari. Sull’altra sponda i diari privati hanno lasciato i blog per traslocare su Facebook, mentre alcuni blogger hanno creato veri giornali online e molti cittadini prendono volontariamente parte al processo delle notizie postando foto, video e testi. Questa cosa nuova si chiama pro-am journalism e questo è forse il modo migliore di produrre informazione di qualità  al tempo di Internet.
Lo si è visto durante la primavera araba, quando la più efficace fonte di informazione è stato un dipendente del network radiofonico americano Npr. Si chiama Andy Carvin, ha quarant’anni e il suo account Twitter è considerato «il migliore del mondo» dalla Scuola di giornalismo della Columbia University. Carvin non si limita a mandare messaggi (anche se il giorno della liberazione di Tripoli, lo scorso 21 agosto, ne ha inviati più di ottocento): usa Twitter come piattaforma per cercare notizie in tempo reale dai vari fronti ingaggiando un furioso controllo della verità  via tweet in un dialogo continuo con il resto del mondo. Un professionista e migliaia di volontari. Il modello è lui.
Jay Rosen, che ha coniato l’espressione pro-am journalism, tutto questo lo aveva previsto sei anni fa. Docente di giornalismo alla New York University, a una conferenza a Cambridge lesse una relazione che si intitolava proprio “It’s over, la guerra è finita”. Dirlo allora era difficile. Erano i tempi in cui Ben Bradlee, il leggendario direttore del Washington Post dello scandalo Watergate, poteva liquidare con una feroce battuta il fenomeno del citizen journalism, ovvero l’informazione fornita ogni giorno da migliaia di volontari in Rete: «Se hai un attacco di cuore chiami un chirurgo, non vai da un citizen-chirurgo». Ma a sgretolare questa contrapposizione, secondo Rosen, era bastata una frase nel reportage dell’inviato del New York Times John Schwartz dalla scena del terribile tsunami che aveva colpito l’Asia meridionale nel Natale 2004: «Per una cronaca migliore dalla zona del disastro è difficile fare meglio dei blog». Big Bang. Fu il primo, grande successo del citizen journalism, la scoperta che a volte un lettore di un giornale può fare meglio di un giornalista professionista se testimone oculare di un fatto. Già  nel 1999 Dan Gillmor aveva sintetizzato il fenomeno con una massima affidata al San José Mercury News e diventata poi un mantra per la blogosfera: «My readers know more than I do, i miei lettori ne sanno più di me». Mai un giornalista aveva avuto il coraggio di dirlo.
Ma la convinzione che l’informazione di qualità  potesse fare a meno dei giornalisti crollò, secondo Rosen, in seguito a un altro tipo di tsunami, la crisi finanziaria del 2008. «Tra i lettori dei quotidiani ce n’erano abbastanza che per esperienza diretta sapevano del problema dei mutui immobiliari, quella storia poteva essere scritta prima che lo scandalo esplodesse. Ma non è stato fatto». Perché? Perché giornalisti e cittadini non hanno collaborato. Dice sempre Rosen: «I giornalisti non sono abituati ad ascoltare, i blogger non sono preparati a dare un’informazione di qualità . Per questo abbiamo bisogno che lavorino assieme».
È quello che sta accadendo. Il caso più eclatante è forse quello dell’Huffington Post. Per seguire le elezioni è stata realizzata una piattaforma per ospitare i reportage dei cittadini: si chiama Offthebus, giù dall’autobus e fa il verso a un libro del 1973 che raccontava il dorato mondo dei giornalisti che seguivano i candidati dal bus ufficiale. Analogamente la Cnn ha creato iReport, una piattaforma dove chiunque può aggiungere contenuti: quelli migliori e vagliati dalla redazione finiscono sul sito ufficiale. La collaborazione però prevede uno scarto ulteriore come quello che fece il Guardian nel 2009 quando chiese ai suoi lettori di esaminare le migliaia di note spese dello scandalo dei parlamentari inglesi. Fu un successo e alcuni lo chiamarono “giornalismo diffuso”.
Questo modello adesso arriva in Italia dove il citizen journalism vive una stagione florida. Secondo Liquida, che ne fa un monitoraggio continuo, i blog che fanno informazione sono circa 15mila. A questi vanno aggiunte oltre 500 micro web tv che fanno controinformazione locale e che trasmettono “a web unificato” in occasione di grandi eventi. Il caso di maggior successo è Agoravox: nato in Francia nel 2005 da un’idea dell’italiano Carlo Revelli, ha oltre centomila citizen reporter e vanta alcuni scoop come la prima intervista a Julian Assange. Da Parigi, dove hanno il quartiere generale, il direttore Francesco Piccinini dice: «Ci sono giornalisti che meritano tutta la nostra stima. Collaboriamo affinché i fatti tornino ad essere la notizia».
E la collaborazione è partita. Luca De Biase è un solido cronista dell’innovazione. Ora guida la Fondazione Ahref e ha da poco lanciato una piattaforma per il giornalismo di qualità . «Abbiamo parlato per anni di contrapposizione fra giornalisti e Rete, ma non ha più senso. Mettiamoci d’accordo sul metodo: accuratezza, imparzialità , indipendenza e legalità . E collaboriamo». Non a caso la piattaforma si chiama Timu, che in swahili vuol dire «facciamo squadra». È partita con un’inchiesta collettiva sulla dispersione scolastica promossa dalla Fondazione per il Sud. E ora ha in corso una gara per indicare quali devono essere i prossimi muri da abbattere. Ma gli obiettivi sono molto più ambiziosi: «Produrre collettivamente le migliori inchieste civiche». Un giornalista guida e gli altri lo aiutano. Sì la guerra è proprio finita. Bloggate in pace.


Related Articles

Galateo 2.0 Dai calzini a twitter come diventare gentlemen digitali

Loading

Tra norme di buon senso e autoironia, c’è il tentativo di porre un freno al dilagante uso del “tu” che i social network hanno portato Esce un “dizionario contemporaneo delle buone maniere”. E insegna a comportarsi anche sul web 

La guerriglia del “download” che spaventa il Congresso Usa

Loading

Ritirate le leggi sul diritto di autore dopo i blitz degli hacker per il sito oscurato. Il Web insorge per i provvedimenti che “limitano la matrice del libero scambio”

Il giornalismo al tempo della guerra

Loading

Arabi e occidentali, due modi di raccontare le stesse storie (la Repubblica, VENERDÌ, 24 NOVEMBRE 2006, Pagina 11 – Esteri)

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment