Il “grande fiume” è straripato ottobre 2011, fuga da Bangkok

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BANGKOK – Non bastava la chiusura per inondazione del secondo aeroporto nazionale della Thailandia. Né lo straripamento di larghi tratti dell’immenso Chao Praya sulle cui rive è sorta Bangkok, la Città  degli Angeli. Ieri sono finite sotto l’acqua due delle principali icone metropolitane, il Grand Palace dove hanno risieduto tutti i regnanti thai dalla fine del ‘700, e China Town, la più antica comunità  della capitale.
Erano acque più basse di quelle che hanno ghermito con onde fino a un metro e mezzo il nord della città  all’inizio della settimana e sono penetrate tra i primi grattacieli da 30 e più piani costringendo gli abitanti alla fuga verso uno dei 1700 centri d’accoglienza. Ma da oggi Bangkok, 14 milioni di abitanti, vena giugulare e commerciale di un Regno da 60 milioni di anime, sarà  ingolfata al suo massimo dall’acqua che spinge a monte coi fiumi in piena e da valle con l’innalzamento della marea dell’Oceano, distante appena 30 chilometri. Succederà  in serata alle 6 ora locale, l’una circa in Italia. E’ questa l’ora del previsto picco del livello del Chao Praya, che solca un entroterra innalzato di appena due metri dal livello del mare.
“Il giorno del giudizio”, l’hanno chiamato i giornali. Ma al di là  dell’isteria che sembra dominare molte previsioni, di certo oggi comincia il più pauroso weekend da quando Bangkok è stata circondata da miliardi di metri cubi d’acqua, 16 dei quali in traiettoria diretta da nord verso sud attraverso la capitale. Per deviarli, autorevoli consulenti del governo hanno perfino proposto di spaccare interi tratti di strade, autostrade e sopraelevate pur di creare nuovi canali di deflusso verso l’Oceano. Una proposta bocciata ieri dal governo dopo averla presa seriamente in considerazione.
C’è un clima da apocalisse, con i sacchi di terra ammucchiati ad ogni angolo tra catapecchie e grattacieli in attesa dell’onda, anche se per ora le immagini che incontriamo sguazzando tra fiumi, laghetti, ruscelli e cascatelle che attraversano strade solitamente trafficatissime e assolate, sono di placide famiglie thai intente a spingere la vecchia nonna in una bagnarola dei panni, e altre che tirano con la corda piccole barche e zattere per trasportare qualche vestito, asciugamani, talvolta la tv, un bambino piccolo. Nelle case già  inondate molti hanno rifiutato di evacuare, e siedono o dormono su panche rialzate dal pavimento guardando la tv miracolosamente funzionante.
Ma l’apparenza di una città  tranquilla che affronta il destino con atavica rassegnazione e spirito d’abnegazione, una Venezia dell’Est frequentata da turisti di tutto il mondo, nasconde la tensione e la rabbia. La premier quarantenne Yingluck Shinawatra ha dovuto usare le minacce. «Chiedo alla gente di capire – ha detto – perché non voglio dover essere costretta a usare la legge per controllare le masse». Travolta dalla tensione, la premier è quasi scoppiata in singhiozzi in conferenza stampa, anche se poi ha subito smentito che quelle fossero lacrime, poiché «nel mio ruolo – ha detto – non posso permettermi di lasciarmi andare alle emozioni».
Intanto secondo le previsioni, come una spugna incapace ormai di assorbire altro liquido, il placido Chao Praya imbottigliato dal cemento, dall’afflusso dei fiumi da nord e dalla spinta del mare, lascerà  uscire oggi dal suo largo alveo quasi mezzo metro di acqua, destinata a straripare nelle periferie come nel centro, senza muri né sacchi di sabbia che tengano. Anche se molte aree della centralissima Sukhumvit e del distretto commerciale di Silom sono ancora asciutti e in attività  quasi normale, potrebbe succedere l’impensabile, una intera città  allagata, una temporanea Atlantide che impiegherà  – se va bene – almeno un mese ad asciugarsi.


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