Il primo flop di Angelino la rivolta parte da Milano solo 800 iscritti al partito
MILANO – Meno di mille iscritti in Lombardia. La convention regionale disertata dagli oltre 5 mila amministratori locali. Per Angelino Alfano arriva il primo flop. L’uscita del segretario del Pdl Angelino Alfano all’assemblea regionale degli eletti doveva rappresentare l’occasione per rilanciare il partito dopo l’ultima débacle elettorale. Ma si è trasformata nello specchio della guerra per bande in corso nel partito. E il “delfino” di Berlusconi ora si ritrova a fare i conti con i “colonnelli” che gli hanno ritirato la “carta in bianco” firmata pochi mesi fa.
Basti pensare al nodo del tesseramento e dei congressi ora chiesti a gran voce non più solo dalla base, ma anche dagli alti dirigenti come il governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Ma con il governatore lombardo sono tanti i critici: gli ex ministri Claudio Scajola, Beppe Pisanu, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e buona parte degli ex di Alleanza nazionale. Tutti convinti che la linea sia ora troppo schiacciata sulla difesa di Berlusconi. «Si deve cambiare – si lamentava nei giorni scorsi il sindaco di Roma – altrimenti era meglio tenersi Berlusconi e tre coordinatori».
Le speranze di rinnovamento che Alfano aveva suscitato nell’ala più scontenta del partito si stanno quindi affievolendo. Tra gli amministratori del Pdl presenti alla convention cresce la preoccupazione per questa difesa tetragona del Cavaliere. C’è chi rimprovera al segretario di essere stato eletto invocando l’avvio del nuovo corso del partito degli onesti, per poi essere costretto a schierarsi a favore di indagati eccellenti come Milanese o il ministro Romano. Per non parlare dei congressi annunciati e non ancora convocati. Del balletto sulle primarie proposte per scegliere i candidati da inserire nelle liste, o delle nuove regole per il tesseramento. «Non si può certo andare avanti così – dice ad esempio Formigoni con i suoi fedelissimi -. Non possiamo arrivare così alle elezioni».
Che sia in corso una rivolta lo si capisce dal tesseramento. A un mese dalla scadenza del termine, il numero degli iscritti è crollato. Poco più di 600 a Milano contro i 7mila dello scorso anno. Nel partito prevale il disorientamento. Forse anche per questo, per la prima volta, l’immagine del volto di Berlusconi non c’è. Né sul palco e nemmeno nei saloni dell’albergo di Pero, nell’hinterland milanese, che ha ospitato la prima assemblea degli eletti pidiellini dell’era Alfano.
Chi come Formigoni si aspettava di incassare una data certa per la convocazione dei congressi provinciali, cittadini e regionali, è rimasto deluso. Alfano non è andato oltre la promessa già nota di organizzarli per inizio dicembre. «Serve un grande cambiamento nella politica del governo e un grande cambiamento nel partito», incalza il governatore lombardo. «Il Pdl ha un orizzonte oltre ai leader attuali», aggiunge il ministro della Difesa e coordinatore nazionale Ignazio La Russa.
La verità è che dopo la batosta elettorale delle amministrative, nel Pdl si è scatenato un vero e proprio tutti contro tutti. In Lombardia, il primo ad affilare le armi marcando stretto il neo segretario Alfano è proprio il gruppone di Formigoni. Seguito da quello dei laici capeggiato dal presidente della Provincia di Milano Guido Podestà , ex amministratore di Edilnord, società immobiliare del gruppo Berlusconi. Entrambi ce l’hanno con il coordinatore lombardo Mantovani, che con Daniela Santanché è accusato di essere tra i responsabili della sconfitta elettorale a Milano, dopo il caso Lassini e le manifestazioni organizzate davanti a Palazzo di Giustizia in appoggio all’imputato Berlusconi.
Ora nel Pdl tutti parlano di codice etico. Di mettere al primo posto il merito nella scelta dei candidati da mettere in lista. Non come il consigliere regionale Nicole Minetti, eletta in Lombardia perché ai primi posti del listino bloccato di Formigoni. «La meritocrazia non è essere una bella ragazza, o meglio se devi fare l’attrice o la streaptease va bene, ma se devi fare il rappresentante istituzionale o il ministro…», accusa l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini. L’eurodeputata Licia Ronzulli, chiamata in causa per i festini nella ville di Berlusconi ad Arcore e in Sardegna, ribatte che «non è sufficiente frequentare le sezioni per ritenerci meritevoli di qualcosa e giudici del lavoro altrui». La deputata bresciana Viviana Beccalossi, pur non citandola direttamente, si riferisce a lei quando dal palco sibila: «Basta europarlamentari che non conoscono nemmeno la differenza tra una mozione e un ordine del giorno». L’unica che difende a spada tratta Berlusconi è Daniela Santanché. Tesse l’elogio del «partito di plastica», critica quello che definisce «un tiro al piccione» sul premier e si domanda: «Come si fa a vincere senza di lui»?
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