Il popolo degli alberi

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LONDRA.  C’era una volta una strada nel bosco. O meglio, un’autostrada. Potrebbe essere l’inizio di una favola postmoderna. Precisiamo, però: il bosco c’era, l’autostrada che ci passava in mezzo ancora no. Volevano costruirla nel Devon, per portare il traffico nel countryside inglese e così alleggerire gli ingorghi di una tangenziale vicina. Forse sarebbe piaciuta agli automobilisti, ma certo non al bosco, ai suoi animali, alle sue piante secolari. Così nove anni fa un gruppo di ambientalisti decise di piantare le tende tra gli alberi di quella foresta, con l’obiettivo di bloccare l’avanzata di ruspe, camion, asfalto, insomma per fermare l’autostrada. L’iniziativa riuscì. Con il sostegno della potente lobby dei campagnoli, ossia degli amanti della vita di campagna, che è una delle sacre icone dell’Inghilterra: una singolare alleanza di verdi e tradizionalisti, di ecologisti e conservatori ha fatto cambiare idea alle autorità  e salvato il bosco dall’autostrada.
Sembra la versione moderna de Il segreto del bosco vecchio, indimenticabile apologo di Dino Buzzati in cui uno speculatore è pronto a tutto pur di abbattere un bosco. Solo che nella realtà  la fiaba non è finita con lo stop alla costruzione dell’autostrada. Gli ambientalisti si sono trovati così bene nella foresta che ci sono rimasti. Le tende sono diventate capanne, poi casupole, poi case, naturalmente eco-sostenibili, fatte in proprio, non inquinanti e appoggiate, avvinghiate, arrampicate agli alberi, o addirittura sopra di essi. È nato così poco per volta uno strano movimento, dapprima in Inghilterra, poi anche altrove (Italia compresa). People of the Trees, si autodefiniscono: “Il popolo degli alberi”. «Albericoli», li chiamano talvolta quelli che stanno fuori dal bosco, evocando il termine «cavernicoli». Ed è a una vita più semplice, primitiva, elementare, che loro effettivamente ambiscono, perciò non lo prendono come un insulto.
La prima è stata la Steward Community Woodland nel Devon. Si è autoproclamata comunità  nel 2004, qualche anno dopo la campagna per fermare l’autostrada. «Tra gli alberi e sugli alberi si vive bene, certamente meglio che tra le auto, lo smog e tutte le follie del consumismo urbano», dice John Asher, circondato da Sonya, Daisy, Marley e dal cane, considerato il capo di questa speciale tribù. La pensano come lui Emma e Bill del Tir Ysbrydol (Spirit Land, “La terra dello spirito”), una comunità  analoga nel Pembrokeshire, e i residenti del Tinkers Bubble (“Bolla dei pensatori”) nel Somerset, e tutti gli altri seguaci del ritorno alla natura. La vita degli “albericoli” non è facile. Intanto, bisogna saper costruire una casetta con materiali naturali, facendo tutto da soli, sopravvivendo senza elettricità , gas, acqua. Poi, quando le casette sono almeno mezza dozzina, bisogna combattere contro le leggi e la burocrazia che si rifiutano di considerarle un villaggio: le stesse leggi e la stessa burocrazia che sarebbero pronte ad abbattere un bosco per farci passare un’autostrada, ma che giudicano incivile la presenza di qualche decina di esseri umani rispettosi dell’ambiente. Quindi servono avvocati, lobbisti, soldi, per difendere il proprio diritto a un’esistenza fuori dalla norma. «Ma questa è gente che crede in quello che fa e non arretra davanti a nulla», ci dice David Spero, il fotografo inglese che per un decennio ha documentato l’epopea del Popolo degli Alberi. «Per fotografare le case ho dovuto prima guadagnare la fiducia di quelli che ci abitavano. È stato come entrare a contatto con una specie sconosciuta, perché in un certo senso anche queste persone, con la loro scelta radicale, sono diventate parte della fauna del bosco, parte del bosco, e guardano giustamente con una certa diffidenza chi viene da fuori».
In Inghilterra, come altrove, ce l’hanno fatta, almeno finora. Qui hanno persino ricevuto un aiuto del tutto inatteso: una campagna stampa del quotidiano conservatore Daily Telegraph contro le nuove regole di pianificazione approvate dal governo (conservatore anche quello) di David Cameron. Il premier voleva sostituire 1300 pagine di regolamenti con un libretto di appena 52. Il messaggio era chiaro: tutto è permesso. «Un assegno in bianco agli speculatori per distruggere il nostro patrimonio forestale e allargare a dismisura le città », accusa John Rhodes, inizialmente uno degli autori della riforma, che ora ha ritrattato passando dalla parte degli “albericoli”. Gli inglesi adorano la campagna, anche quelli che non ne posseggono neppure un pezzetto, sicché nel nome di sentimenti a metà  strada tra tradizioni vecchio stile e ecologismo militante sperano che il progetto sarà  bloccato – come anni fa l’autostrada che doveva sradicare gli alberi del Devon.
Fanno venire in mente gli gnomi, gli elfi, i folletti del bosco, questi uomini e donne (e anche qualche bambino) che hanno scelto di abitare tra gli alberi. Alcuni di loro hanno l’auto parcheggiata non troppo lontano e ogni giorno vanno al lavoro in città . Le loro originali costruzioni hanno attirato anche l’interesse di agenzie immobiliari: c’è chi le acquisterebbe a suon di milioni di sterline come seconda casa. Ma gli “albericoli”, come Robin Hood, stanno bene nella foresta. E come il Barone Rampante di Italo Calvino rispondono alle offerte di denaro allo stesso modo in cui rispondevano alle minacce delle ruspe: fermate il mondo, da quassù non si scende.


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