Il Pdl prepara l’impeachment contro Fini

by Sergio Segio | 18 Ottobre 2011 7:27

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ROMA – L’escalation in corso è il preludio della resa dei conti finale. Le scintille tra Pdl e Gianfranco Fini hanno acceso ormai un incendio. Prima le dimissioni – invocate dal presidente della Camera – del ministro sotto inchiesta per mafia Saverio Romano. Ieri la richiesta dei berlusconiani di consentire la partecipazione di Alfonso Papa (dal carcere) all’attività  parlamentare. Ogni polemica diventa un caso politico. Con l’evidente obiettivo degli uomini del Cavaliere di dimostrare la «incompatibilità » del leader dei Fli a ricoprire ancora la terza carica dello Stato.
Oggi a mezzogiorno l’ufficio di presidenza del gruppo del Pdl si riunisce a Montecitorio per discutere, tra l’altro, della strategia di assedio a Gianfranco Fini. La tentazione che attraversa di nuovo i falchi del partito, a cominciare dal capogruppo Cicchitto, è quella di portare in aula un ordine del giorno o un atto di sfiducia politica del presidente della Camera. Una mozione che «delegittimi» la terza carica dello Stato non è ammissibile a norma di regolamento, il fondatore di Fli l’ha già  cassata mesi addietro. Il nuovo affondo prenderebbe spunto dal diniego di ridiscutere il rendiconto bocciato dall’aula e dalla richiesta di dimissioni del ministro dell’Agricoltura. Ieri l’ultima collisione. Cicchitto, Quagliariello e Laboccetta vanno a Poggioreale per incontrare il collega Papa, in carcere da luglio per l’inchiesta P4. Il processo a carico suo e di Bisignani inizia il 26 ottobre. I pm Curcio e Woodcock hanno citato 25 testimoni fra i quali Marco Milanese, indagato nell’altra inchiesta della Procura di Napoli. Il deputato Pdl non si è dimesso. Conseguenza: viene conteggiato ugualmente durante le votazioni alla Camera (sempre più a rischio per la maggioranza), come se fosse presente, concorrendo così al raggiungimento del numero legale. «Un paradosso inaccettabile» per Cicchitto e gli altri che se la prendono con Fini e la sua «burocrazia perversa». Quagliariello sostiene che Papa avrebbe anche chiesto di poter esercitare le funzioni non legate alla presenza fisica in Parlamento e che il presidente non gli avrebbe risposto. La presidenza della Camera replica con una lunga nota, per far presente che non è pervenuta alcuna richiesta di Papa e che sul numero legale sono state rispettate le regole e la Costituzione. Cicchitto e Quagliariello contrattaccano: «Burocratico cinismo». E Fini ancora replica: «Definire burocratico cinismo l’applicazione della Costituzione e dei regolamenti di Montecitorio è la riprova di quale concezione hanno della democrazia parlamentare». Angelino Alfano due giorni fa aveva parlato di «vulnus grave» da parte del presidente. Ai ferri corti, a dir poco. Le resistenze opposte dalle «colombe» pidiellini al documento di «sfiducia» nascono dai rischi che potrebbe comportare una nuova prova di forza in aula, superata a stento la scorsa settimana. Tanto più con le fibrillazioni in atto nel Pdl. Per non dire della possibile reazione del Quirinale e del muro della inammissibilità  che la presidenza della Camera quasi sicuramente ergerebbe anche stavolta.
Altra grana esplosa in queste ore nel Pdl quella legata a Fabio Gava, lo scajoliano che con la Destro ha lasciato il gruppo. La maggioranza si è accorta che col suo passaggio al misto è diventata minoranza nella delicatissima giunta per le autorizzazioni della Camera: lui era decisivo e l’11-10 ora si è capovolto. Il premier Berlusconi ha ordinato non a caso di tentare una disperata ricucitura e di fermare l’espulsione dei due. Gava avverte: «Casini mi vuole vedere». Ma intanto sospende il passaggio al misto.

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