Il Nord è tutto dei pensionati

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 ROMA. Per tutto il giorno, ieri, si è trattato febbrilmente sulle pensioni. Il premier Silvio Berlusconi avrebbe puntato a raggiungere quota 100 (somma tra età  anagrafica e anni di servizio) per gli assegni di anzianità  e 67 anni per quelli di vecchiaia, ma il no della Lega ha portato le trattative fino alla tarda serata (e oggi sicuramente sapremo di più su come sia andata la notte). Come si sa, Bruxelles ha chiesto una risposta entro la giornata di oggi, senza concedere sconti.

Un no deciso quello della Lega, ma al tavolo è rimasta eccome: quindi la quadra si è cercata (disperatamente), nonostante gli allarmi sulla possibile crisi lanciati sia da Berlusconi (per mettere paura al partito di Bossi, che se andasse alle elezioni subito, subirebbe una débacle) che dalla stessa Lega (per la propaganda verso i suoi elettori).
Soprattutto, il no della Lega si è concentrato sugli assegni di anzianità , che il governo a un certo punto ha addirittura minacciato di eliminare del tutto (bisogna anche dire che l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a mantenere il doppio regime anzianità /vecchiaia). Dall’altro lato, si è ipotizzato di anticipare l’adeguamento delle pensioni delle donne che lavorano nel privato, di almeno 5 anni (equiparandole non solo agli uomini, ma anche alle colleghe del pubblico impiego, che hanno già  subito l’innalzamento a 65 anni).
La difesa «a spada tratta» delle pensioni di anzianità  – fino ad arrivare alla frase di Bossi: «Impossibile toccarle, la gente ci ammazza» – è dovuta a un motivo potremmo dire elementare: la gran parte degli assegni di questo tipo, circa due terzi (il 65%), si concentrano nelle regioni del Nord. Cioè il bacino di voti della Lega, già  provatissimo dalle pessime performances di governo del partito. Gli assegni di anzianità  erogati dall’Inps sono circa 4 milioni, e se la media italiana è di 63,2 assegni per 1000 abitanti (elaborazione del Sole24Ore su dati Inps), in Piemonte abbiamo 100 assegni ogni mille abitanti, in Emilia Romagna e Lombardia 92, con tutto il Nord insomma (tranne la Liguria) assestato sopra i 70. La sola Lombardia ha 1 milione di assegni. Per contro, Campania, Calabria e Sicilia, ad esempio, viaggiano tra 23 e i 28.
Dall’altro lato, al Sud abbondano gli assegni sociali e di invalidità  civile (questi ultimi, «depurati» dalle truffe, sono passati a 2,7 milioni rispetto ai 3,2 del 2008). Ma tornando all’anzianità , essendo più concentrata nel settore dipendente privato, è comprensibilmente tema sensibilissimo per il Nord, che per motivi economici e occupazionali è su questo fronte molto più sviluppato del Meridione.
Se si dovessero comunque modificare (per non eliminarle) le pensioni di anzianità , riesumando ad esempio lo «scalone» Maroni (approvato nel 2004, eliminato dal successivo governo Prodi nel 2007 con il Protocollo welfare del ministro Damiano), si avrebbe un improvviso aumento degli anni di lavoro per diverse fasce di età . Uno spartiacque significativo, ad esempio, potrebbe essere il capodanno del 1952.
Un lavoratore dipendente nato a dicembre del 1951 che ha cominciato a lavorare nel 1974 ha raggiunto i requisiti per l’anzianità  nel 2010 (bastavano 59 anni di età  e 36 di contributi) ed è uscito con la «finestra» del luglio 2011. Il suo collega nato a gennaio del 1952 e che ha cominciato a lavorare sempre nel 1974 ha subito il doppio scalino dell’aumento dell’età  a 60 anni previsto dalla legge Damiano (dal primo gennaio 2011) e della finestra mobile introdotta con la manovra del 2010 (12 mesi per i dipendenti e 18 per gli autonomi). Sperava di uscire quindi dal lavoro nel gennaio 2013, una volta raggiunti i 61 anni e un anno e mezzo dopo il lavoratore precedente: ma ora, con la nuova ipotesi, rischierebbe di essere bloccato ancora. Il nuovo scalone a 62 anni si aggiunge alla finestra mobile. Risultato: potrà  uscire a gennaio 2015, quando avrà  compiuto i 63 anni.
Un altro «paradosso» riguarderebbe due donne (magari madre e figlia) nate nel 1946 e nel 1966: tra la seconda e la prima potrebbero esserci, per una serie di calcoli, 21 anni di lavoro in più e 27 anni di divario di età  dell’uscita.


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