Il muro della previdenza ricompatta il Carroccio

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MILANO — Niente da fare. A tarda notte, i passi avanti sono pochissimi. A dispetto del tempo che corre e dell’Europa che aspetta, la maratona di trattative ha visto il Carroccio fare muro: «Le pensioni non si toccano, abbiamo già  dato».
Il fuoco di sbarramento era incominciato al mattino, con il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni che durante la Telefonata di Maurizio Belpietro era stato deciso: «La Lega è sempre stata contraria all’ipotesi di ridiscussione dell’età  pensionabile. Abbiamo fatto le nostre proposte alternative».
Poi era stata la volta di Rosi Mauro, vicepresidente del Senato e fondatrice del sindacato padano, il Sin.pa: «Adesso basta. È arrivato il momento di smetterla di mettere le mani nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati». Addirittura, Mauro aveva minacciato manifestazioni di piazza da parte del Sin.pa e le proprie dimissioni: «Se la Lega accetterà  l’innalzamento io dirò no, e mi dimetterò da leader del sindacato». Infine, era stato interpellato Roberto Maroni, soltanto teoricamente più possibilista: «Vedremo in Consiglio dei ministri, sentiremo le richieste e poi valuteremo. Ma la nostra posizione sule pensioni è molto chiara: abbiamo già  dato, i pensionati hanno già  dato».
Nel primo pomeriggio, Umberto Bossi si era trovato in via Bellerio con Calderoli, e i due capigruppo: lo stesso Reguzzoni e Federico Bricolo. Poi, intorno alle 16, partenza per Roma. Nella Capitale, via con la trattativa-monstre. Un paio di round di pre-Consiglio dei ministri (circa un’ora), poi il Consiglio vero e proprio (un’ora e mezza). Qui, Bossi non era apparso agli altri ministri così ultimativo. Ha preso la parola per raccomandare «gradualità » nei possibili interventi, e soprattutto «giustizia sociale». Con un invito allo stesso «amico Giulio» Tremonti: «Sei stato premiato come sciatore dell’anno, vedi di imparare a fare un po’ di slalom». Eppure, la situazione era ancora in stallo. E dunque la serata è proseguita con una cena con il premier, Tremonti, Calderoli e Maroni.
Ed è qui, più ancora che in Consiglio dei ministri, che la distanza tra Pdl e Lega è apparsa pressoché insormontabile. Ad aggiungere nervosismo al nervosismo del premier, Umberto Bossi si è dilungato su quelli che lui chiama «i fascisti di Varese», i contestatori al recente congresso leghista. Poi, probabilmente stanco, se ne è andato. Un fatto che certifica quanto il capo padano sia ormai preso dalla riorganizzazione del lacerato movimento. Peraltro, il no a qualsiasi intervento sulle pensioni di anzianità  sembra l’unico tema che accomuna le diverse anime leghiste da parecchio tempo a questa parte. «Alzare l’età  pensionabile a 67 anni è un conto — racconta un leghista ben informato — cosa diversissima è cancellare i diritti acquisiti: sono circa 200mila all’anno, e in gran parte concentrati in Padania, coloro che rischiano di lavorare non qualche mese, ma dieci anni in più. Dieci anni». Nulla da fare anche per il ritorno al 2004 e alla riforma delle pensioni firmata dallo stesso Maroni: «All’Europa lo scalone non basta».
Insomma, la situazione è assai tesa. Prova ne sia il titolo della Padania di questa mattina: «Scontro finale sulle pensioni». E poi: «Oggi il D-day. No all’innalzamento dell’età  pensionabile. La Lega non arretra di un passo, coerente con la posizione già  espressa con la manovra di agosto». Anche se la primitiva versione era ancora più dura: «Pensioni, Lega irremovibile».
Un solo momento di buonumore vero. Quando il premier se ne è uscito dicendo di goderci proprio per «la sconfitta dei francesi da parte dei Black Bloc». Chissà  che ne pensano i neozelandesi All Blacks.


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