Il golpe africano del miliardario così Branson voleva cacciare Mugabe

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Un golpe, un attentato, un complotto. Ci sono tanti modi per destituire i vecchi dittatori. Sir Richard Branson, miliardario britannico, magnate della Virgin, una tra le più grandi industrie discografiche del mondo, aveva studiato un sistema diverso. Per convincere Robert Mugabe, l’ostinato e brutale presidente dello Zimbabwe a lasciare lo scettro, era disposto a tirare fuori un bel gruzzolo dal suo patrimonio: sei milioni e mezzo di sterline, qualcosa come 7 milioni di euro. Il piano, svelato da WikiLeaks, fu abbozzato nel 2007, forse l’anno più critico per il paese africano alla vigilia di nuove, importanti elezioni.
In attesa al check-in dell’aeroporto di Johannesburg, sir Richard viene avvicinato da un politico di Harare che si qualifica per Jonathan Moyo. L’uomo è un personaggio controverso dello Zimbabwe. Ministro dell’Informazione per diversi anni, è stato l’autore di una legge sui media che fece chiudere l’unico quotidiano privato del paese. Ma è anche l’estensore della bozza del documento nel quale il “gruppo degli anziani del paese” invitava Robert Mugabe a lasciare la redini del potere «senza traumi e con dignità ». Caduto in disgrazia, anche per i contrasti con la vecchia guardia del partito al potere Zanu-Pf, Moyo si trasforma nel più critico tra gli oppositori di Mugabe. Finisce per essere isolato ed è a quel punto che si propone come mediatore di un piano per detronizzare il patriarca dell’ex Rhodesia.
Richard Branson, che ieri ha confermato i contatti in un’intervista all’Independent, parlò anche con Gideon Gono, capo della Banca Centrale dello Zimbabwe. Anche lui una vecchia volpe del regime, legatissimo a Mugabe. I due s’incontrano più volte, studiano il piano nei dettagli. Ma alla fine, il magnate della Virgin si convince che sia Moyo sia Gono non sono gli interlocutori adatti. Il progetto svanisce. Il fondatore della Virgin ammette gli incontri e l’intenzione di convincere Mugabe, a suon di milioni, a lasciare il potere con le buone. Ma nega con forza di aver aperto il portafogli per dare il suo contributo al riscatto di un paese nel quale aveva molti interessi.
Davanti ai file che riportano le relazioni al Dipartimento di Stato dell’ex ambasciatore americano in Sudafrica, Eric Bost, comprese le mail scambiate tra Branson e Moyo, il miliardario britannico è caduto dalla nuvole. È rimasto sorpreso, quasi spaventato da quei documenti che riteneva segreti e personali. «Non so come siano finiti nelle mani dell’ambasciatore Usa», si è chiesto. «Mi stavano spiando». Poi, con tipica ironia inglese, ha precisato: «Il prezzo è perfino equo. Io mi occupo di filantropia e farei del tutto per restituire dignità  ad un paese che soffre. Abbiamo fatto delle riunioni, anche con gli anziani. Ma non si è mai parlato di denaro. Quelle persone millantavano entrature che non avevano e alla fine abbiamo lasciato perdere».


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