by Sergio Segio | 2 Ottobre 2011 6:59
NEW YORK – «Con l’economia stremata dalla recessione, i rischi di ricaduta che vengono dall’eurozona, la mia rielezione non sarà facile». Barack Obama ammette apertamente il rischio di rimanere il presidente «di un solo mandato», la maledizione che colpì per ragioni diverse tre suoi predecessori democratici (John Kennedy, Lyndon Johnson, Jimmy Carter) ma che avrebbe un impatto ancora più pesante per il primo afroamericano alla Casa Bianca. Ne parla con sincerità ad una cena per raccogliere fondi elettorali a Georgetown. Affronta il tema della «grande delusione»: perché il leader che entusiasmò le folle nel 2008, l’autore dell'”Audacia della speranza”, è caduto ormai al 42% dei consensi nei sondaggi? «Quello che non abbiamo fatto in questi due anni e mezzo alla Casa Bianca, è cambiare Washington», cioè il modo di fare politica. La confessione di Obama arriva nel giorno di una escalation nella protesta di Wall Street, le centinaia di manifestanti che denunciano le malefatte dei banchieri sono arrivati a occupare e bloccare il ponte di Brooklyn. Una protesta minoritaria, e tuttavia simbolica: perché i suoi protagonisti fanno parte della “constituency” che nel 2008 credette di vedere in Obama il portatore di una rivoluzione.
Sulla preoccupazione dominante per gli americani, il lavoro, Obama è di nuovo nell’impasse. Da settimane il presidente attraversa gli Stati Uniti, da una città all’altra, da un comizio all’altro, per spiegare la sua manovra di sostegno alla crescita. 447 miliardi di investimenti per la scuola, le infrastrutture, gli sgravi a chi assume disoccupati. Una manovra a costo zero perché sarebbe finanziata dall’eliminazione dei regali fiscali di George Bush a chi guadagna più di 200 mila dollari all’anno, più la Tassa Buffett sui milionari. La manovra piace a una maggioranza di americani ma Obama non riesce a “venderla” nel luogo che conta: la Camera, dove la maggioranza di destra è decisa a bloccare ogni iniziativa del presidente. «Sono passate più di tre settimane – ha detto il presidente nel discorso radiofonico del sabato mattina – da quando ho mandato quel progetto di legge al Congresso. È ora che sia approvato, democratici e repubblicani devono lavorare insieme per quest’emergenza nazionale». Un appello che cadrà nel vuoto ancora una volta. Dallo stallo nasce la frustrazione accende dei focolai di protesta, una novità per l’America che da decenni ha visto indebolirsi i sindacati e i movimenti collettivi. Ieri tremila manifestanti a Boston hanno circondato una sede della Bank of America, per contestare i pignoramenti giudiziari delle case. L’onda lunga della crisi dei mutui subprime continua ad esercitare un salasso tremendo su milioni di famiglie, che hanno perso o rischiano di perdere l’abitazione. La manifestazione di Boston (conclusa con 21 arresti) si è unita al più celebre sit-in di Wall Street, in corso ormai da due settimane. Centinaia di manifestanti sono accampati nelle vicinanze della più importante Borsa mondiale, per protestare contro i comportamenti predatori dei banchieri. È una protesta che sembra avverare il timore del sindaco di New York: due settimane fa Michael Bloomberg aveva paventato il “contagio” nelle metropoli Usa di fenomeni come gli “indignados” spagnoli, gli scontri di Atene, l’occupazione di PiazzaTahrir al Cairo. Senza un leader, senza un’organizzazione alle spalle, la protesta di Wall Street ha stentato a catturare l’attenzione dei media. C’è riuscita solo grazie all’aiuto della polizia newyorchese, le cui violenze gratuite contro i manifestanti hanno fatto il giro delle cable-tv, di YouTube e dei siti sociali. Ma questi focolai di protesta non aiutano Obama. A destra, aizzano i candidati Mitt Romney e Rick Perry o gli anchorman di Fox News che accusano il presidente di «fomentare l’odio sociale e la lotta di classe» (con le sue proposte di tassare i ricchi). A sinistra rischiano di incoraggiare una fuga verso posizioni radicali, proprio mentre il presidente subisce la defezione dei “piccoli donatori”. L’esercito di sostenitori che nel 2008 si autotassavano con piccole donazioni da 50 o da 100 dollari per la sua campagna, furono la premessa per il record di affluenza alle urne da parte dei giovani e delle minoranze etniche. Un exploit che sarà difficile ripetere. «Non abbiamo cambiato Washington»: la vecchia politica delle mediazioni, dei compromessi, dei cedimenti alle lobby, ha allontanato dal presidente alcuni dei suoi fan più appassionati della prima ora.
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