I rischi della reazione lenta e la lezione del ’96

by Sergio Segio | 5 Ottobre 2011 6:24

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Ma Moody’s parla più spesso di «market sentiment», fiducia che se ne va, incertezza. In fondo è logico, perché la crisi europea mina alla radice la capacità  dei Paesi più vulnerabili di finanziarsi facilmente come prima. Ed è decisivo perché l’evaporare di quel bene immateriale chiamato fiducia fa salire i tassi e può rendere più onerosi i debiti.

Ma sulla base dell’esperienza di altre stagioni recenti, davvero era inevitabile? Chi ha seguito Carlo Azeglio Ciampi nel 1996-97 sa quanto l’allora ministro del Tesoro avesse presenti queste dinamiche. Per questo a volte Ciampi diventava terribilmente ripetitivo. Diceva sempre che il governo aveva un enorme surplus prima di pagare gli interessi; ricordava che l’Italia era determinata a centrare l’obiettivo di deficit sotto il 3% e si trovava sulla buona strada per farlo. Martellava sugli stessi concetti per mesi, anni, finché non entravano in testa a tutti. E entrarono, perché l’Italia fu ammessa nell’euro.

Oggi invece quella pedagogia che ha il coraggio di annoiare pur di far capire ai disinformati e di convincere i diffidenti, ci manca crudelmente. Un articolo del Financial Times ieri dava conto delle perplessità  di molti banchieri: perché l’Italia non si spiega né si difende mentre i mercati le si voltano drammaticamente contro? Gli argomenti, ricorda Erik Nielsen di Unicredit, non mancherebbero. Il surplus di bilancio prima di pagare gli interessi sul debito è superiore a quello di Berlino. Il patrimonio dello Stato è quasi pari all’esposizione verso i creditori e quello dei privati è quattro o cinque volte più vasto. Si potrebbe aggiungere che l’Italia è il solo Paese europeo ad aver già  stabilizzato la traiettoria del debito, benché su livelli elevati. O che la vulnerabilità  di cui parla Moody’s può riguardare il finanziamento nel 2012, ma non la tenuta complessiva: l’interesse medio sul debito è appena al 4%, la vita media dei titoli di sette anni. Eppure il mercato preferisce la Spagna: dal ‘97 non aveva mai pagato rendimenti tanto inferiori a quelli italiani come in questi giorni.

Ma Madrid è un’ex amministrazione imperiale che ha nel Dna l’arte di imprimere la propria visione sul resto del mondo. L’Italia invece reagisce con lentezza alle emergenze e poi resta fatalmente assorbita dalle proprie dispute intestine. Il Tesoro e la Banca d’Italia avrebbero l’occasione di cooperare, proporre insieme nuove misure, andare insieme a parlare agli investitori di tutto il mondo, difendere the case for Italy. Perché c’è, ci sarebbe. Il Tesoro e la Banca d’Italia hanno l’occasione di mostrare che non sono così distratti dal testa a testa sulla nomina del nuovo governatore da dimenticare tutto il resto. Ma la stanno cogliendo?

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