by Sergio Segio | 30 Ottobre 2011 7:03
Non è niente di segreto. Non si tratta di un documento confidenziale anche se né il premier Silvio Berlusconi, né l’opposizione, né i sindacati, né Confindustria fin qui ne hanno parlato (per dirne bene o male che sia, o solo per annunciare che esiste).
Semplicemente, sono le conclusioni ufficiali del Consiglio europeo: sottoscritte da ciascuno dei 27 capi di Stato e di governo, la più alta istanza politica nel continente, il presidente del Consiglio incluso.
Quel documento uscito alle 4 del mattino di giovedì, al punto 6, indica per l’Italia impegni che vanno aldilà sia della lettera che Berlusconi aveva spedito a Barroso e Van Rompuy poche ore prima, sia della stessa lettera inviata a inizio agosto della Banca centrale europea all’Italia.
Lo fanno in alcuni punti specifici: il ritmo di riduzione del debito pubblico, la liberalizzazione degli ordini professionali e l’accesso al mestiere dei giovani, la revisione del sistema di sussidi di disoccupazione. Soprattutto, in una sola frase con la firma in calce di Berlusconi e degli altri 26 leader, quel testo crea una cornice stringente di monitoraggio e «pressione dei pari» su quanto l’Italia farà di qui al 2014: dunque dopo le prossime elezioni. Da ora in poi l’Italia, qualunque sia la sua classe dirigente, dovrà muoversi entro quei paletti. L’alternativa — implicita ma evidente — è la rinuncia alla rete di sostegno europea senza la quale oggi il Paese rischia di non potersi finanziare.
Il punto centrale delle conclusioni del Consiglio europeo riguarda il debito pubblico. Il vertice di Bruxelles prende nota con favore delle misure italiane per il pareggio di bilancio nel 2013 e per un surplus nel 2014. Poi però cita un obiettivo numerico che nella lettera della Bce di agosto, quella firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, non compariva: «Generare una riduzione del debito pubblico lordo al 113% del Pil nel 2014».
Sul piano tecnico non c’è novità : un obiettivo simile compare nell’aggiornamento al documento di Economia e finanza del Tesoro del 22 settembre. Il problema però è che il Consiglio europeo non è un’istanza tecnica. È politica ed è lì che c’è una svolta, perché ora l’obiettivo di un debito al 113% nel 2014 non è più (solo) un programma del governo italiano ma una richiesta della più alta istanza istituzionale in Europa. Poiché il debito italiano a fine anno sarà sopra il 120% del Pil (stima del governo), ciò significa che Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e i loro altri 24 colleghi chiedono che l’Italia riduca il rapporto fra debito del 2,3% del Pil ogni anno fino al 2014. Sono circa 35 miliardi di euro l’anno, una volta presa in conto la (scarsa) crescita del futuro prevedibile. Nei prossimi tre anni si tratta di una riduzione del debito in tutto di circa cento miliardi di euro.
È soprattutto su questo parametro che i leader europei giudicheranno da ora se l’Italia merita il sostegno finanziario che oggi le serve: è il meccanismo di aiuto condizionato innescato dall’ultimo vertice. Da giovedì mattina alle 4 l’Italia è appesa a un nuovo metro di giudizio, e non è detto che sia già sulla strada giusta per centrarlo, visto che la crescita appare già deludente rispetto alle ultime stime: dunque il debito in rapporto al Pil rischia di essere più alto.
A conferma dell’attenzione con cui viene seguita, all’Italia il Consiglio europeo riserva anche altri «consigli» che non figurano in questo livello di dettaglio né nella lettera della Bce, né in quella di Berlusconi a Barroso e Van Rompuy. Il vertice parla così di «abolire le tariffe minime nei servizi professionali», come se prendesse nota dell’impegno che il premier ha appena preso con la sua missiva. Non è così però, perché la lettera del governo annuncia solo genericamente «altre misure per rafforzare l’apertura degli ordini professionali». Anzi la reintroduzione delle tariffe minime, nota barriera all’ingresso dei più giovani, era stata un segno distintivo della riforma perseguita da Angelino Alfano quando era Guardasigilli. E anche qui, nemmeno la Bce era entrata in questi dettagli su cosa deve fare l’Italia per riportare l’economia in grado di crescere.
Sulla stessa linea, il Consiglio europeo indica anche di «rivedere entro la fine del 2011 il sistema degli assegni di disoccupazione attualmente frammentato». Non è una richiesta anodina. Non lo è perché nella sua lettera di poche ore prima il governo non anticipa nulla del genere e soprattutto non lo fa entro queste scadenze pressanti: il documento di Berlusconi parla piuttosto di riforma del mercato del lavoro «entro maggio 2012». Senza fare riferimento alle incongruenze della cassa integrazione che non copre la gran parte dei lavoratori più giovani, perché precari.
C’è poi la vigilanza, maggiore di quella alla quale Bruxelles ha abituato l’Italia dall’avvio del progetto dell’euro. «Invitiamo la Commissione europea — scrivono i leader — a fornire una valutazione dettagliata delle misure e a monitorare la loro applicazione e invitiamo le autorità italiane a fornire in modo puntuale tutta l’informazione necessaria per questa valutazione». Sono le parole che fanno da pendant alla promessa di sostegno finanziario, e non è una promessa da niente: al ritmo tenuto da inizio agosto, la Bce per esempio dovrebbe comprare Btp per 280 miliardi di euro l’anno solo per mantenere questi livelli di acquisti, che pure hanno prodotto tassi elevati. Ora anche il Fondo salvataggi potrà assistere l’Eurotower. Ma non se l’Italia non farà ciò che i leader europei le chiedono.
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