I fidanzati di Teheran trascinati al suicidio dal terrore di Stato

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Behnam Ganji aveva 22 anni, studiava Scienze applicate all’Università  di Teheran e amava la maestra d’asilo Nahal Sahabi. Entusiasti e pieni di vita, così li descrivono gli amici, lei appassionata al suo lavoro, lui spensierato e pronto a trasferirsi in una nuova casa. Behnam condivideva l’appartamento con Kouhyar Goudarzi, 25enne attivista per i diritti umani coinvolto nelle proteste contro la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad del 2009 e più volte accusato di moharebeh (lotta contro Dio) e propaganda anti-regime. Arrestato nel dicembre di due anni fa per aver partecipato ai funerali di Montazeri, il Grande ayatollah dissidente espressione di quella parte del clero iraniano estranea all’integralismo della teocrazia, Kouhyar era stato condannato a un anno di detenzione nel carcere di Evin, luogo simbolo della repressione dell’opposizione definito in un rapporto Onu del 2003 «una prigione nella prigione». Tornato in libertà  ed espulso dall’università , la sera del 31 luglio 2011 Kouhyar viene prelevato in casa da uomini del ministero dell’Intelligence. Quella sera Behnam è con lui, ed è un testimone.

È portato con l’amico a Evin, dove resta otto giorni. Poco dopo gli agenti arrestano anche la madre di Kouhyar e la stessa Nahal, che rimane in carcere tre giorni sotto la costante minaccia di essere «disonorata» dalle guardie. Behnam è tenuto in isolamento, interrogato, torturato. L’obiettivo è strappargli una confessione contro Kouhyar, una prova del suo collegamento con il Mek, il partito d’opposizione dei Mujahedin del popolo fino al 2009 sulla lista delle organizzazioni terroristiche stilata dall’Unione europea. Secondo una testimonianza riportata dal quotidiano britannico The Times gli amici sarebbero stati violentati uno davanti all’altro. Forse Behnam cede. E quando esce è un uomo devastato. Precipita nella depressione, non risponde ai messaggi e non cerca aiuto. Il primo settembre prepara il cocktail letale nel suo appartamento. Comincia la discesa agli inferi di Nahal. «In carcere dev’essergli accaduto qualcosa di terribile», dice la ragazza che vive nel terrore e si tormenta per non aver saputo aiutare il fidanzato. «Cosa dovrei fare io senza di te? Se riesci a sentire quanto ti amo, forse puoi tornare dalla morte» scrive disperata sul suo blog, dove pubblica al posto della propria foto l’immagine sfocata di due profili che si sovrappongono, Benham e Nahal. L’ultimo link rimanda a un video su YouTube del Wedding Waltz, il Valzer del Matrimonio della compositrice greca Eleni Karaindrou che fa da colonna sonora all’«Apicoltore» di Theo Angelopoulos, il film con il monologo sulle api che vogliono essere regine e «si dibattono contro le pareti delle loro prigioni di cera… Perché non lasciarle uscire?». «Così è di nuovo giovedì — scrive il 29 settembre — Vieni Behnam. Balliamo insieme ancora una volta di giovedì». Il giorno libero di lei dal lavoro, quando potevano incontrarsi. Il giorno in cui Benham se n’è andato, e Nahal l’ha seguito, a 28 anni, con la stessa pozione.

Su Internet pietà  per gli amanti, sconforto per un Paese dove nessuno è al sicuro, rabbia contro il regime che uccide i suoi figli. «Chi fa questo ai nostri giovani non è un essere umano — scrive Afsaneh — la storia lo ricorderà  come un tiranno». E paura per Kouhyar Goudarzi. Secondo le autorità  non è più a Evin. Dal giorno dell’arresto nessuno l’ha più visto.


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