Gli Indignati smarriti «Rovinati dai Black bloc»

by Sergio Segio | 17 Ottobre 2011 6:20

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ROMA — Sotto alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme ci sono tante facce nuove e molte parole vecchie. Siedono in cerchio, i reduci della manifestazione di sabato, quelli rimasti spalle al muro nella piazza occupata dalla violenza degli incappucciati.

Il mattino dopo fa ancora più male. Mesi di incontri, preparazione, speranze. E tutto evapora nel fumo di una bomba carta. Eppure, quasi per un riflesso pavloviano, la rabbia va in un’altra direzione, segue slogan antichi, che ormai sanno di stereotipo. Il complotto, la grande cospirazione. Fabio Moretti, che arriva da L’Aquila e ha diciotto anni appena, non ha dubbi. «C’erano infiltrati nel corteo, qualcuno li ha fatti arrivare apposta». Fabrizio, veneto, cita Pasolini, per dire che anche lui sa, ma non ha le prove. «E’ chiaro però che i servizi segreti, deviati o meno, hanno ogni interesse a strumentalizzare la protesta per poi giustificare la repressione». Antonio, studente lavoratore, alza la mano per prendere la parola. «Il progetto politico è di far fallire il movimento degli Indignati. Lasciano fare casino e poi ci stroncheranno tra gli applausi».

Saranno i grandi spazi davanti alla basilica, ma questa assemblea spontanea di prima mattina porta con sé i segni di uno smarrimento generale. «Ci stiamo conoscendo e non potevamo immaginare che sarebbe andata così» dice Cristina Bassi, romana, educatrice sociale. «In fondo c’è ancora tempo, siamo spazio nuovo che sta provando a immaginare un futuro».

Sono una trentina di ragazzi, per molti quella di sabato era la prima volta, il grande debutto dopo tante piccole prove generali. Il disorientamento dei militanti puri si esprime anche con la difficoltà , o il rifiuto, di leggere quel che è successo nella sua semplicità . «Io non posso giudicare» dice Fabrizio. «Se davvero non c’è nessuno dietro agli scontri, significa che l’unica differenza tra noi e i “neri” sta nelle pratiche. E la loro rabbia esiste, c’è. In piazza, allo stadio, ovunque». E’ una convinzione diffusa, soprattutto tra i più giovani. Quelli che sabato hanno devastato e rovinato il corteo «vivono la nostra stessa sofferenza sociale» dice Fabrizio, precario da cinque anni, dal diploma. «Solo che loro spaccano tutto, scelgono il nichilismo».

Frankie rifiuta la tesi della famiglia con un figlio fuori di testa, che resta pur sempre un figlio. «Ognuno declina come vuole la protesta, ma noi quella cosa lì non la volevamo». Dietro al soprannome c’è un laureato milanese, una delle anime della rete di San Precario che dopo anni di militanza basata soprattutto sulla capacità  di comunicare, adesso conosce una fama non proprio gradita per aver ospitato gli incappucciati nel proprio spezzone di corteo. «Noi parliamo il lessico dei precari e in manifestazione c’erano con noi almeno ventimila persone che si identificano con quel che diciamo. Siamo un luogo di riconoscimento aperto, ma a viso scoperto».

La verità  è che il giorno dopo non c’è un vero perché. I cinquecento «sfasciacarrozze», benevola definizione echeggiata ieri durante una riunione del comitato organizzatore, hanno tutti nome e cognome. Dal 14 dicembre in piazza del Polo alla Val di Susa, sono sempre gli stessi, espressione di un’area che nei mesi scorsi non aveva nascosto il proprio dissenso sugli obiettivi della manifestazione. Potevano entrare e mettersi ovunque, perché porte e finestre erano ben aperte. Nell’ultima settimana le dimensioni della manifestazione erano sfuggite di mano, era diventata una cosa persino troppo grande. In piazza c’erano otto tronconi di corteo ben organizzati. Il resto, che era oltre la metà  delle persone scese in piazza, era arrivato sull’onda di Internet, del passaparola. Il rimpianto è quello di aver scelto una struttura aperta per far venire più gente possibile e non essere stati in grado di proteggerla.

E’ andata così, e adesso c’è anche poca voglia di parlare. L’unico che ci mette la faccia è Piero Bernocchi, il leader dei Cobas. Fino a pochi anni fa quelle che vengono definite «frange estreme» finivano sotto le sue bandiere, e almeno si sapeva dov’erano. Adesso anche lui, e gente come gli ex Disobbedienti di Luca Casarini, uno spauracchio ai tempi di Genova 2001, agli occhi degli «sfasciacarrozze» sono diventati di destra. «Questi fingono di non riconoscere più alcuna rappresentanza, politica o sociale che sia. Si autorappresentano, non vogliono bandiere. Ma fanno parte anch’essi della politica politicante. Pensano che si sia aperto uno spazio a sinistra e lo vogliono coprire, e così diventano ingestibili».

In questa logica, nella corsa a chi è più di sinistra ed estremo, nasce l’attacco alla manifestazione di sabato. Non si sentono rappresentati da nessuno, volevano dimostrare che gli altri non sono in grado di rappresentare nessuno. Bernocchi ne è convinto: «Avevano detto di voler assediare i palazzi del potere ma non li hanno nemmeno sfiorati. L’unico “palazzo” da assaltare eravamo noi del comitato organizzatore, e quindi piazza san Giovanni, dove per altro la Polizia ha sbagliato tutto». E’ una tesi, quella dell’attacco premeditato, che trova una solida pezza d’appoggio aprendo il sito di Info-Aut, una delle reti che partecipa alle proteste contro la Tav. «Volevano farsi il loro bel comizio, e invece…». E’ il titolo beffardo che autocelebra le gesta degli incappucciati di piazza San Giovanni, elogiati perché capaci di bloccare «la nascita di un altro movimento finto» dopo quello di Genova.

Tutte queste cose i ragazzi che sudano nel prato davanti alla basilica non le sanno. Non immaginano il disprezzo che provano per loro gli incappucciati di sabato. «Stiamo parlando di un gruppo di ragazzini esaltati» minimizza Daniele Monteleone, che per sua fortuna non è certo anziano. «Non sappiamo se sono venuti da soli o sono stati mandati da qualcuno, ma la prossima volta chiederemo alla Polizia di fare bene il servizio d’ordine».

La prossima volta è un’ipotesi lontana nel tempo, perché i cattivi hanno vinto, questo lo ammettono gli stessi organizzatori che ieri hanno passato la domenica cercando invano di limare un testo con una posizione comune. Tutto rimandato a data da destinarsi, come le assemblee permanenti a Santa Croce in Gerusalemme. «Ci vediamo presto, stiamo in contatto» dice Cristina ai pochi che resistono fino a sera, e sembra quasi una preghiera. Mentre loro immaginavano il futuro, quelli in nero hanno rubato il presente.

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